«Abbassare i titoli richiesti non risolve il problema»
L’educatrice Tomasini: «Alleanza formativa con le famiglie, i nidi sono comunità educante»
Romina Tomasini lavora nei nidi d’infanzia da circa vent’anni. Oggi è coordinatrice nelle Giudicarie della cooperativa sociale di servizi all’infanzia «Città futura».
Condivide la preoccupazione dell’assessora Maule sul reclutamento del personale?
«Sì, il problema è sentito. Le persone che fanno questo lavoro sono poche e la professione, per un vincolo culturale, è ancora prettamente femminile: si fa elevata, dunque, la percentuale di assenze per maternità, che possono durare anche due anni. C’è poi anche una complicazione pratica: nei nidi d’infanzia si matura un punteggio molto basso rispetto agli altri gradi d’istruzione per le graduatorie e questo magari porta a fare scelte diverse».
È un problema di requisiti d’accesso?
«Non credo si risolverebbe nulla abbassando i criteri per accedere alla professione. Si potrebbero aprire forse più indirizzi, però almeno i tre anni di università ci vogliono. Sia per la maturità delle persone, sia perché si comincia a prendere consapevolezza che per stare con i bambini è necessario possedere nozioni di psicologia e pedagogia, che i cinque anni di superiori non garantiscono. Abbassare i requisiti d’accesso rischia secondo me di far passar l’idea, decisamente errata, che l’educatore è un lavoro che può fare chiunque e non è assolutamente così».
Com’è cambiata la professione negli ultimi vent’anni?
«Inizialmente il nido d’infanzia era visto come una sorta di parcheggio per bambini, ora invece lo si percepisce come una vera e propria comunità educante, vuoi per l’investimento nella formazione degli educatori, vuoi per la capacità delle strutture di aprirsi sempre di più al territorio. Nel tempo si è creata un’alleanza formativa con le famiglie, si porta avanti insieme la crescita del bambino con sempre maggiore collaborazione, negli ultimi anni anche della figura paterna. Il servizio nido non fa parte dell’iter scolastico, ma si tratta comunque di un tassello molto importante».
Per quale motivo?
«È il primo ingresso del bambino e della famiglia nella società. Portare il bimbo al nido significa entrare in una comunità, perché noi inseriamo il piccolo con tutta la famiglia, nonni compresi quando ci sono e ne esprimono il desiderio. Il nido in questo modo diventa anche luogo di incontro e confronto».
Questo comporta carichi di lavoro più onerosi per le educatrici?
Nuovi paradigmi Oggi genitori e nonni sono sempre più protagonisti, questo consente a chi lavora di adottare punti di vista diversi sulla professione
«All’inizio può risultare faticoso, ma poi non imbarazza più. Oggi si rispetta maggiormente i bisogni del genitore nello staccarsi dal bambino la momento dell’ambientamen
to ad esempio. Con questa modalità il genitore si fida di più. Questo porta anche le educatrici ad aprire il pensiero, a uscire da una logica impostata, a guardare anche al nido e al proprio lavoro da punti di vista diversi e sguardi altri».
Viene fatto un investimento in termini di formazione?
«Certo, in maniera costante. Una volta completati gli studi si possiede una formazione prettamente teorico-accademica, quando si arriva al nido l’affiancamento è costante. Il nostro è un lavoro pratico, di cura, ma deve essere supportato costantemente da una formazione teorica, i due piani devono viaggiare insieme, altrimenti ci si radica in pratiche consolidate».