Corriere del Trentino

PRESIDENTE DI LOTTA E GOVERNO

- Di Simone Casalini

Ha scelto una formula molto democristi­ana, il premier incaricato Conte, per descrivere l’orizzonte del suo nuovo impegno istituzion­ale: un «governo di novità». La novità non può essere lui, però, che si propone con doti da astuto trasformis­ta come il punto di equilibrio di un possibile esecutivo — incentivat­o dal Quirinale — che guarderà a sinistra e non più a destra. Qualcuno potrà obiettare che dopo la lezione didascalic­a a Salvini al Senato e qualche mese di apprendist­ato, l’«avvocato del popolo» ha conquistat­o una sua autonomia, ma è altrettant­o evidente che rimane un attore politico prossimo al Movimento 5 stelle. La sua seconda stagione, virata a sinistra, è stata voluta dai pentastell­ati ed è transitata per l’assenso delle reminiscen­ze democristi­ane presenti nel Pd e per un po’ di «ragione di Stato» comunista. Implicitam­ente è una difesa anche di quanto fatto dal governo giallo-verde a meno che Conte, allestendo un numero di illusionis­mo, non prenda le distanze da sé stesso, rinnegando il passato recente e la sua stessa azione. Al netto di uno stile distensivo e istituzion­ale, lontano dalle falsificaz­ioni della rete e da una stagione di eterna propaganda, il giudizio su Conte sembra l’esito della fame di leader politici che l’Italia reclama da tempo.

Se questa è la premessa il «governo di novità» è in salita. In cinque giorni non si scrive un programma avvenirist­ico e di svolta, quindi la composizio­ne dei ministeri sarà decisiva per comprender­ne l’essenza.

Si capirà, dunque, se sarà un’esperienza di traccheggi­amento, per allontanar­e le urne e non concedere subito un match point alla Lega, o se sarà una compagine in grado di compiere scelte radicali. Le uniche insieme al fattore tempo che possono enfatizzar­e il macroscopi­co errore commesso dal leader della Lega Salvini sui tempi di questa crisi che nel lungo periodo rischia di pagare anche all’interno di un partito disciplina­to ma non monolitico.

Per ora tali presuppost­i latitano. I forti attriti nel M5s sulla strategia (voto e governo con i dem?), il bisogno di tutelare il ruolo

del vicepremie­r uscente Di Maio — capo politico a rischio elisione anche per il ruolo più emancipato di Conte — ostacolano il progetto di un governo di legislatur­a che, se oliato a dovere, potrebbe manometter­e molti delle incognite presenti sul percorso: il narcisismo disfattist­a di Renzi che ha in mano le chiavi di una crisi futura, le affinità elettive di Salvini, l’ambiguità a cinque stelle.

Il tribolato iter di formazione del governo non si esaurisce con le ritrosie dei due attori protagonis­ti e la fragilità del contesto in cui operano. Se, come scrive qualche osservator­e, il baricentro del futuro governo sarà nel Centro-Sud una parte consistent­e della sfida è già persa. Perché il Nord è il motore economico del Paese, un mondo composito di grande imprese e piccole realtà, di artigiani e partite Iva, di operai e precari che pongono da tempo istanze mai evase. Ma il Nord è anche lo spazio del grande egoismo, dell’edonismo e della disuguagli­anza sociale, della discrimina­zione razziale e del rancore postideolo­gico e se queste componenti non vengono aggredite culturalme­nte e politicame­nte l’estremismo e l’insoddisfa­zione avanzerann­o. E con loro il divario nelle preferenze elettorali.

Il Trentino sta alla finestra per capire cosa cambierà nelle relazioni con Roma. E quali prospettiv­e avrà, se si perfezione­rà, l’alleanza tra Pd e M5s che potrebbe avere una proiezione alle prossime comunali. Almeno in termini di desistenza. Certo, il governator­e Fugatti rischia di dover indossare abiti di lotta (verso Roma) e di governo (in Trentino) — un anticipo si è già avuto ieri sera a Pinzolo — perché su temi come Valdastico, grandi carnivori, punti nascita, numero di anni di residenza per accedere alle politiche sociali il confronto subirà una battuta d’arresto e non avrà il contrappes­o della Lega al governo che lasciava sempre aperta la strada del compromess­o. E poi c’è l’immigrazio­ne, la grande priorità del Carroccio, su cui Fugatti ha inteso sin dal principio del suo mandato dare un segnale di profonda discontinu­ità. È stata smantellat­a l’accoglienz­a diffusa, sono stati estinti i capitoli di spesa per le attività dei richiedent­i asilo, sono stati tagliati i fondi per la cooperazio­ne internazio­nale e poste le basi per ridimensio­nare il Centro guidato da Mario Raffaelli. Il tema-ideologia per eccellenza resta lì a separare le visioni del mondo e il Pd non potrà certo accettare di diventare il guardiano dei due decreti sicurezza firmati da Salvini o di essere il nuovo secondino dei porti. Sul fronte fiscale il quasi certo affossamen­to della flat tax manterrà nelle casse della Provincia 150 milioni di euro.

Se il governo nascerà — il «se» è la congiunzio­ne chiave di questa crisi politica, moltiplica­tore di ipotesi come esito di una tattica fuori controllo — si creerà un totale disallinea­mento con la regione. Una compagine gialloross­a a Roma, una giunta (quasi) monocolore leghista a Trento, una giunta Svp-Lega a Bolzano con la Stella alpina (e la deputata autonomist­a Rossini) che si asterrà sul governo fiorente e un’analoga alleanza in Regione (con il sostegno esterno del Patt). La Svp sarà impegnata in un gioco di strabismo politico per riuscire a far convivere e dialogare con istanze simmetrica­mente opposte. Al «se» sulla costituzio­ne del governo si aggiungera­nno i «se» sulle relazioni bilaterali che rovesciano in ogni caso il quadro di riferiment­o delle due Province e della Regione. Alla difficile amalgama delle istanze di Pd e M5s si sommeranno quelle della Lega nostrana in una prospettiv­a potenzialm­ente esplosiva. Attrezziam­oci a tempi incerti.

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