AUTONOMIA UN DIVERSO APPROCCIO
Il governatore trentino Maurizio Fugatti si è ben guardato finora dal prendere contatto con il nuovo ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Il Landeshauptmann Arno Kompatscher, invece, ha già sentito un paio di volte Francesco Boccia: «Il colloquio telefonico — ha detto — è stato molto positivo. Boccia si è dimostrato concreto e abbiamo condiviso l’intenzione di fissare un incontro a Bolzano». Insomma, l’approccio del leader sudtirolese (che pure ha il Carroccio nella sua maggioranza) è assai diverso da quello del presidente leghista di Piazza Dante. Il che non stupisce: nonostante il partito di Salvini abbia ottenuto «solo» il 27,09% per cento dei voti (comunque quasi il doppio di quelli del Pd, secondo partito) e il candidato presidente del centrodestra il 46,73 per cento, Fugatti fin da subito ha dimostrato di voler imporre la propria ideologia rifuggendo da ogni tentativo di mediazione. Ne ha pieno diritto — va riconosciuto senza il minimo dubbio — perché la legittimità del suo potere non è in discussione, ma una simile scelta rompe una tradizione di dialogo che il Trentino ha sempre tenuto viva, seppur con varietà di accenti. Evidentemente egli ritiene che la logica del «divide et impera» gli porterà nuovi consensi e non si cura di alcun segnale inviti alla prudenza.
La battaglia contro gli immigrati procede implacabile, nonostante crei disoccupati tra i «trentini doc».
Per di più rinunciando a godere dei fondi europei, e sollevi obiezioni perfino dove i leghisti hanno avuto ottimi risultati nelle urne (vedi i casi di Dorsino e Lavarone). L’ultimo affondo è stato contro i profughi nelle case di riposo, ma forse stavolta si inizia a comprendere che il «troppo stroppia».
Sarebbe ancor più grave, tuttavia, se la logica barricadera caratterizzasse i rapporti con il governo Conte 2. Certo, Fugatti promette che «avremo dei corretti rapporti istituzionali anche con Boccia», però avverte subito che «per giudicare aspettiamo i primi atti». Vale allora la pena ricordare che, quando sul finire del primo decennio di questo secolo le autonomie speciali finirono sotto il duro attacco del centrodestra, l’allora governatore Dellai non giocò in attesa. Disse di comprendere le esigenze di porre un argine alla voragine del bilancio statale e offrì la disponibilità di accollare alla Provincia nuove competenze senza chiedere soldi, assicurando dunque un congruo risparmio alla casse nazionali.
Nacque così l’Accordo di Milano siglato il 30 novembre 2009 da Dellai e da Luis Durnwalder, presidenti di due giunte provinciali di centrosinistra, con i ministri Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, ossia con un governo di centrodestra che non si poteva definire «amico». Lo so: vedendo ministri capi-partito che non distinguono tra i due ruoli, anzi, che subordinano la veste istituzionale agli interessi politici, sembra storia antica.
Chiaramente, per Kompatscher è più facile dialogare con il nuovo governo, sia per il suo orientamento personale, sia perché la Svp sul voto di fiducia si è astenuta, mica è scesa urlando in piazza. Palazzo Widmann, d’altronde, è sempre stata accorta nei rapporti romani con l’obiettivo di «spremere il limone al massimo», come qualcuno ebbe a dire. Se il pragmatismo, a volte cinico, ha portato tanti frutti al Sudtirolo, forse è il caso che a Trento non ci si chiuda nella trincea ideologica. Vista la situazione, è fisiologico che la Lega sia in guerra contro Pd e M5S, ma ciò non deve impedire che il presidente della Provincia di Trento cerchi di aprire un dialogo con il ministro Boccia, anziché rimanere in sospettosa attesa. Di sicuro Kompatscher non potrà essere il difensore del Trentino e giocherà la sua partita in piena libertà.