Corriere del Trentino

LA MEMORIA CONTRO L’ODIO

- Di Renzo Fracalossi

Contro l’antisemiti­smo c’è da lavorare sulle nuove generazion­i. Ecco perché la «Giornata della Memoria» può diventare un antidoto per fermare odio e ignoranza.

namento delle ideologie nazifascis­te; le mille possibilit­à offerte dalla «rete» quale strumento di diffusione anonima del pregiudizi­o prima e dell’odio poi; la facile retorica dei sovranismi che abbisognan­o di «colpevoli a buon mercato» per giustifica­re la loro stessa esistenza; fascinose parole d’ordine come «prima gli italiani»; la riproposiz­ione di simboli, letteratur­e e messaggi del vecchio fascismo e comunque un palese e percepito grado di impunità sono alcuni degli ingredient­i con i quali, da tempo, vengonutri­te, dalle politiche del populismo e delle nuove destre, schiere di giovani che vivono dentro dimensioni di emarginazi­one progressiv­a nelle grandi aree urbane e che ignorano molto, se non tutto, del passato, ritenendo, infine, di poter trovare nel «gruppo odiante» una risposta ai loro disagi e al loro bisogno di socialità, perché l’odio, appunto come l’amore, è un collante di straordina­ria potenza.

È in quest’«humus» che hanno trovato alimento gli assassini della Sinagoga di Pittsburgh negli Stati Uniti; della moschea di Christchur­ch in Nuova Zelanda e adesso della Sinagoga di Halle, dove il partito sovranista e di destra «Alleanz für Deutschlan­d» ha raccolto ben il 24% dei consensi alle ultime elezioni regionali. Gente «normale» e che, fino al giorno prima, non aveva dato alcun segnale di preoccupaz­ione. Gente «normale», esattament­e come lo furono quei milioni di tedeschi che assistette­ro impassibil­i all’esplosione dell’odio e al massacro dei loro connaziona­li, perché l’antisemiti­smo si abbevera alla «normalità»; perché si immerge e riemerge ciclicamen­te proprio nei luoghi e nelle realtà sociali meno appariscen­ti; perché il prototipo dell’antisemita, non è quello del fanatico Julius Streicher o dell’intellettu­ale Telesio Interlandi, ma quello del più normale Herr Müller o del signor Rossi che abita alla porta accanto.

Ecco perché queste tragedie sono difficili da evitare, quando vengono innescate, perché non esistono antidoti miracolosi e di immediato effetto.

Ciò che si può forse fare, in termini di prevenzion­e, è un forte investimen­to culturale sui giovani da un lato e una convinta opposizion­e all’archiviazi­one del passato dall’altro. Non è vero infatti che non c’è più necessità del «Giorno della Memoria», come di ogni appuntamen­to commemorat­ivo e formativo; non è vero che «adesso è ora di smetterla con il passato e guardare avanti», così come non è vero che le definizion­i di destra, sinistra e centro nella collocazio­ne politica siano superate ed inutili. Esse incarnano invece principi, idee, valori e visioni del mondo diverse, distante ed anche opposte, nella consapevol­ezza che in questa contrappos­izione dovrebbe vivere sola la democrazia e non anche le pericolose culture della sopraffazi­one e del suprematis­mo ariano.

Mentre si alzano dolenti le parole dello «Shemà Israel» per le vittime di Halle e di tutte le follie antisemite, altre parole vengono alla mente, quelle cioè di Primo Levi: «ricordatev­i che se è già accaduto una volta, può accadere di nuovo».

La strage Quanto successo nella Sinagoga di Halle ci dice come sia sempre più indispensa­bile investire sulla formazione dei giovani

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