Sulle slitte lungo l’Alaska che si scioglie
Acome Alaska e come un’avventura lunga 1.100 chilometri e durata 55 giorni. Trenta gradi sotto zero e con due slitte di 70 chili da trascinare. All’interno del Muse, trasformato per l’occasione del festival dello Sport in «Sport Tech District», Maurizio Belli e Fulvio Giovannini hanno raccontato al direttore del Corriere del Trentino Alessandro Russello la loro spedizione attraverso il cuore dell’Alaska, da Fort Yukon — cittadina a nord del circolo polare artico — fino alla città di Anchorage, affacciata sulla Baia di Cook. «Eredito la passione da mio nonno, cacciatore d’oro emigrato in America, a cui l’Alaska è rimasta nel cuore — racconta Belli — Dopo la traversata solitaria del 1997, questa volta mi sono portato compagnia». Oltre vent’anni di distanza tra le due spedizioni fanno di Belli un testimone vivente dei cambiamenti avvenuti dal punto di vista della connessione con il mondo — «questa volta mi sono dovuto occupare anche dei social» — e del clima. «Nel ’97 era impossibile che a fine febbraio la temperatura superasse lo zero termico. Noi abbiamo registrato anche un +2°C, che in Alaska fa tutta la differenza del mondo». Causa scioglimento dei ghiacci sui fiumi, infatti, i due hanno dovuto cambiare percorso — accorciandolo di 200 chilometri — oltre ad avere inconvenienti di natura tecnica. «Non ero attrezzato per camminare sull’asfalto, ho avuto problemi ai piedi negli ultimi dieci giorni», racconta Belli. Tutto il necessario per quasi due mesi nella natura incontaminata i due se lo sono portati nelle slitte progettate da un pool di studenti e professori dell’Università di Trento. In carbonio e kevlar, le slitte erano anche in grado di ricaricare le batterie degli esploratori. «All’interno di ognuna c’erano circa cinquanta chili di cibo, due al giorno per ognuno. Una dieta a base di speck, cioccolato e proteine», spiega Giovannini. Un’impresa, anzi, un’avventura preparata per mesi, con allenamenti fatti di copertoni trascinati in salita in montagna e pilates.