Il grande Milan degli immortali
Sul palco Van Basten e compagni
TRENTO Una passione rossonera che continua a bruciare, sotto la cenere odierna. Il Milan di Sacchi accende la tifoseria milanista e lo fa all’auditorium Santa Chiara. La sensazione di essere ancora negli anni d’oro è forte, per la quantità di tifosi presenti in sala. Uno persino troppo appassionato, che approfitta di un momento di confusione per chiedere a Galliani di tornare al Milan insieme al presidente Berlusconi.
Tornando al bello, ci sono cori e applausi da spellarsi le mani per tutti. Pochi gli assenti (Donadoni e Gullit), tanti i presenti. Presentati uno ad uno dalla voce di Carlo Pellegatti e i suoi inimitabili soprannomi. «Vibrazioni dell’anima» Costacurta, il capitano Baresi, Ancelotti, Rijkaard e Van Basten fanno alzare il volume dei decibel di quelli che si sono messi in coda ad orario di pranzo. E poi arriva Arrigo Sacchi, «il demiurgo», e Luigi Garlando e Andrea Schianchi riannodano il filo dei ricordi della squadra diventata Leggenda. A partire da quando l’allora amministratore delegato Adriano Galliani e il presidente Silvio Berlusconi, si innamorarono del calcio di quel «signor Nessuno» da Parma. «Tra campionato e coppa Italia giocammo con il Parma quattro volte. Zero vittorie – racconta con il sorriso Galliani — Il presidente fece un semplicissimo ragionamento. I nostri sono più forti, se non vincono significa che l’allenatore è bravo. Lo voglio». Inizia con una banalità e si trasforma in una rivoluzione, quel Milan. «Fu un ribaltamento degli usi e costumi del calcio in Italia. Sacchi ha portato la rivoluzione nel calcio», ricorda Ancelotti. I dubbi c’erano, non solo sui giornali. Costacurta ricorda di aver pensato che «Sacchi non sarebbe durato più di un mese, perché dopo una doppia sessione di allenamento voleva parlare di tattica. Qualcuno, tipo quello che non c’è (Gullit), si addormentava sulla sedia». O come il cigno di Utrecht, “panchinato” dopo la prima giornata e qualche frase di troppo ai giornali. «Dopo che mi ha chiesto scusa, gli ho detto di non pensare ai problemi che mi aveva creato, ma a tutti quelli che mi aveva risolto», spiega Sacchi.
Tanti gli aneddoti sulla costruzione di quella squadra. Dal contratto di Rijkaard portato fuori dalla sede dello Sporting Lisbona dentro i pantaloni di Ariedo Braida perché «i tifosi non volevano vendercelo», ad Ancelotti arrivato dalla Roma nonostante i gravi problemi alle ginocchia su precisa richiesta di Sacchi al presidente Berlusconi. «Con lui vinciamo lo scudetto». Detto, fatto. Il culmine dei ricordi è la semifinale di ritorno della Coppa dei Campioni contro il Real Madrid. Cinque reti che proiettano il Milan alla finale contro lo Steaua Bucarest. «Gianni Brera sulle pagine di Repubblica ci suggerì di aspettarli e uccellarli in contropiede. Non era il nostro stile», rievoca Sacchi. Quattro a zero e coppa sollevata, allora come oggi, dal capitano Baresi.
Poco tempo e poca voglia per raccontare la crisi del Milan di oggi. «A Giampaolo sono legato affettivamente e mi dispiace per lui» commenta Filippo Galli. Ma consigli a Zvonimir Boban, oggi in prima fila, e Paolo Maldini non ne vuole dare nessuno. Nemmeno il loro vecchio mentore Galliani. «Sono grandi amici, sanno cosa è meglio per il Milan, di cui rimango un grande tifoso». L’unica bacchettata arriva da Sacchi. «Forse si poteva concedere a Giampaolo un po’ più di tempo e fiducia». Cose che a lui erano servite per trasformare un gruppo in leggenda.