Il popolo di Bebe e un solo sogno «Volare a Tokyo»
«Quando mi hanno amputato una gamba, appena uscita dalla sala operatoria ho visto mio padre e la prima cosa che gli ho detto “tranquillo vado a Tokyo”». Le parole sono di Vittoria Bianco, nuotatrice paralimpica che ha un sogno condiviso con gli altri 24 atleti inseriti nel progetto Fly2Tokyo. Un’iniziativa lanciata da Bebe Vio — schermitrice italiana, campionessa paralimpica, mondiale ed europea — e Art4sport, l’associazione di cui la madre è presidente e che da anni si batte per aiutare ragazze che subiscono amputazioni a vivere una seconda vita tramite sport paralimpici ad alti livelli.
Nove di questi atleti si sono presentati ieri insieme a Bebe all’auditorium del dipartimento di Lettere dell’Università di Trento, accompagnati dai giornalisti Gian Luca Pasini e Claudio Arrigoni. «Il nostro obiettivo è fare conoscere al grande pubblico nuove facce e nuove storie, molto più incredibili della mia, per fare crescere ancora il movimento — racconta con la solita energia Vio — Ci siamo stufati di vedere solo me e Zanardi (ride)». E allora eccoli sul palco, da Edoardo Giordan ed Emanuele Lambertini che con Bebe condividono la disciplina.
«Ho perso una gamba a vent’anni per una diagnosi medica sbagliata — spiega Giordan — A Rio ci sono andato da spettatore, ora a Tokyo voglio essere protagonista». E pensare che la scherma non era nemmeno nei suoi piani. «Per fortuna ho conosciuto Alberto Pellegrini (nove medaglie paralimpiche) che mi ha tirato su per l’orecchio dalla carrozzina e mi ha aiutato a diventare il numero due al mondo».
Lambertini, invece, in Brasile ci è andato a 17 anni, il più giovane della spedizione azzurra. «Sono cresciuto con Bebe, la conosco da quando avevo 9 anni. L’esperienza paralimpica è stata indimenticabile, un sogno che ora voglio rivivere in Giappone». E poi ci sono i più giovani, già vincenti e con il proprio nome scritto di fianco a record mondiali. Come Lorenzo Marcantognini, che ad agosto ha fatto registrare il record del mondo sui 400 metri piani.
O Veronica Plebani, colpita da una meningite fulminante quando di anni ne aveva quindici e già alle paralimpiadi di Sochi 2014 nello snowboard e a Rio 2016 nella canoa. «La follia fa parte della famiglia visto che mio padre è un appassionato delle ultramaratone. Ora mi sto cimentando nel triathlon per ottenere la qualificazione». E poi anche Riccardo Bagaini e Marco Pentagnoni (atletica) e Davide Obino (basket). Storie di ragazzi che «ho visto crescere fino a formare una vera famiglia», racconta Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico. «Mi rivedo molto nei loro sogni e nelle loro speranze».
Pancalli si è detto molto orgoglioso dei «passi avanti enormi fatti a livello culturale e sportivo negli ultimi vent’anni in Italia. Passiamo un messaggio bellissimo a tutti quelli che si ritrovano nelle condizioni in cui si sono trovati questi ragazzi. La vita non è finita». Passi avanti che sono stati fatti anche a livello culturale. «Se riusciamo a far fare un passo avanti a livello culturale a tutto il Paese, finalmente smetteremo di considerare le persone disabili come tali, guardandole come tutti gli altri».