L’esplorazione di Rella nei territori dell’umano
In «Territori dell’umano» il filosofo trentino esplora morte e onnipotenza
Territori in cui l’umano si trova faccia a faccia con i problemi fondamentali dell’esistenza: identità, confronto con le passioni e il dolore, con l’immagine della morte. Luoghi in cui riconosciamo la presenza di qualcosa che possiamo chiamare umano, anche se negli ultimi anni questo concetto è diventato di sempre più difficile definizione. I suoi confini sono sfrangiati, mentre dimensioni quali transumano e postumano sembrano poter rappresentare un punto d’arrivo.
Si muove in questi delicati spazi Territori dell’umano, il nuovo libro di Franco Rella (Rovereto, 1944) da pochi giorni in libreria. Editorialista del Corriere del Trentino, filosofo e saggista, Rella ha insegnato Estetica allo Iuav di Venezia. Tra i suoi lavori più recenti Il segreto di Manet (2017), Le soglie dell’ombra (2018), Scrivere. Autoritratto con figure (2018), e Immagini e testimonianze dall’esilio (2019), di cui il nuovo saggio si può considerare un’ideale prosecuzione e approfondimento.
Dolore, sacro, violenza, e ancora riti, miti, metamorfosi, animalità, esilio, compianto, testimonianza, erotismo, sacrificio: in Territori dell’umano i temi che da sempre alimentano la riflessione di Rella affollano le pagine, e non smettono di scavare. Ad accompagnarli tornano anche gli autori a lui più cari, Kafka e Dürer in primis. Nel capitolo di chiusura, inoltre, il volume riserva un inatteso e fecondo cambio di passo: la prima persona tace per lasciare posto al «tu»: «Osserva; nessuno sa; devi sapere, chiediti, guarda».
Con una sorta di decalogo, il saggio conduce nei luoghi d’infanzia, «perché nessuno sa come i bambini il senso del “mai più”, o del “sempre”».
Professor Rella, nel libro sonda i labili confini dell’umano: cosa c’è oltre quel limite?
«Credo che spingersi verso il limite estremo dell’umano significhi incontrare ancora l’umano. Oggi si parla di transumano e di postumano, si avvertono queste tentazioni di andare oltre, senza arrivare a definire ciò che è proprio dell’uomo. Mitologie che negli ultimi anni si sono fatte sempre più forti, ipotizzano un superuomo capace di superare tutti i limiti dell’umano, di sconfiggere il dolore, la malattia, la morte. C’è chi afferma che viviamo nel tempo in cui è possibile decidere se e quando morire, come se la morte fosse a nostra disposizione».
Non va però in questa direzione la sua indagine.
«Se attraverso le nuove frontiere della ricerca abbiamo sconfitto la malattia, è perché essa ci ha comunque abitato, ci ha messo di fronte al buio del dolore, all’oscurità del corpo che non è di luce trasparente. Alla fine, come osserva Eliot, tutto ciò che nasce deve morire. Anche il superuomo si scontrerà con il problema della morte, a mio giudizio ineliminabile dall’umano. La tentazione di superarla era già nella Genesi, quando il diavolo dice ad Adamo ed Eva: “Prendendo la mela dell’Albero della conoscenza diventerete come Dio”. In realtà, è in quel momento che capiscono di essere umani, che scoprono la morte e la loro corporeità».
Partendo dal «Naufragio con spettatore» di Lucrezio, si sofferma sul tema dei migranti. Chi è il testimone di questi terribili eventi e cosa lo differenzia dallo spettatore?
«Primo Levi ha vissuto in modo lacerante l’obbligo etico di testimoniare, pensando che il suo impegno non fosse sufficiente a dare conto dell’orrore di Auschwitz, e che per questo quel male avrebbe potuto ripresentarsi. Il testimone è una figura fondamentale, non si limita a guardare, e magari come Lucrezio a gioire dello spettacolo, ma avverte la responsabilità etica di far conoscere agli altri quanto accade. Il problema è che sempre più siamo spinti dalla capacità enorme dei media di portarci davanti agli occhi tutto quanto succede e trasformarci in spettatori, cancellando così il compito del testimone».
Più volte mette a confronto essere umano ed essere animale: dove scorre il confine?
«Per Georges Bataille, l’uomo si separa dall’animalità accettando una serie di regole e rituali che fondano e strutturano la vita comunitaria. Nega la sua parte animale attraverso il matrimonio, che regola l’istinto, e attraverso il dominio del lavoro. Con l’erotismo, avviene un riavvicinamento all’animale, ma è un riavvicinarsi che mette in drammatica tensione la nostra umanità».
Dalla sua analisi esce una profonda fiducia nell’umano, nonostante tutto.
Animalità e istinto
Per Georges Bataille l’essere animale si supera accettando una serie di regole Con l’erotismo, avviene un riavvicinamento, ma è un riavvicinarsi che mette in tensione ciò che siamo
«Sono dalla parte dell’umano totalmente, con tutte le fragilità e debolezze la nostra realtà è ciò che di meglio abbiamo. La negazione dell’umano attraverso il sogno, spesso delirante, di un superuomo che vi si allontana è addirittura antitetica rispetto alla densità dell’umano, con l’esperienza del dolore ma anche della felicità e delle passioni. Nella IX Elegia, Rilke afferma che noi sappiamo più dell’angelo, creatura eterna che non conosce né dolore né morte».