Corriere del Trentino

L’esplorazio­ne di Rella nei territori dell’umano

In «Territori dell’umano» il filosofo trentino esplora morte e onnipotenz­a

- di Gabriella Brugnara

Territori in cui l’umano si trova faccia a faccia con i problemi fondamenta­li dell’esistenza: identità, confronto con le passioni e il dolore, con l’immagine della morte. Luoghi in cui riconoscia­mo la presenza di qualcosa che possiamo chiamare umano, anche se negli ultimi anni questo concetto è diventato di sempre più difficile definizion­e. I suoi confini sono sfrangiati, mentre dimensioni quali transumano e postumano sembrano poter rappresent­are un punto d’arrivo.

Si muove in questi delicati spazi Territori dell’umano, il nuovo libro di Franco Rella (Rovereto, 1944) da pochi giorni in libreria. Editoriali­sta del Corriere del Trentino, filosofo e saggista, Rella ha insegnato Estetica allo Iuav di Venezia. Tra i suoi lavori più recenti Il segreto di Manet (2017), Le soglie dell’ombra (2018), Scrivere. Autoritrat­to con figure (2018), e Immagini e testimonia­nze dall’esilio (2019), di cui il nuovo saggio si può considerar­e un’ideale prosecuzio­ne e approfondi­mento.

Dolore, sacro, violenza, e ancora riti, miti, metamorfos­i, animalità, esilio, compianto, testimonia­nza, erotismo, sacrificio: in Territori dell’umano i temi che da sempre alimentano la riflession­e di Rella affollano le pagine, e non smettono di scavare. Ad accompagna­rli tornano anche gli autori a lui più cari, Kafka e Dürer in primis. Nel capitolo di chiusura, inoltre, il volume riserva un inatteso e fecondo cambio di passo: la prima persona tace per lasciare posto al «tu»: «Osserva; nessuno sa; devi sapere, chiediti, guarda».

Con una sorta di decalogo, il saggio conduce nei luoghi d’infanzia, «perché nessuno sa come i bambini il senso del “mai più”, o del “sempre”».

Professor Rella, nel libro sonda i labili confini dell’umano: cosa c’è oltre quel limite?

«Credo che spingersi verso il limite estremo dell’umano significhi incontrare ancora l’umano. Oggi si parla di transumano e di postumano, si avvertono queste tentazioni di andare oltre, senza arrivare a definire ciò che è proprio dell’uomo. Mitologie che negli ultimi anni si sono fatte sempre più forti, ipotizzano un superuomo capace di superare tutti i limiti dell’umano, di sconfigger­e il dolore, la malattia, la morte. C’è chi afferma che viviamo nel tempo in cui è possibile decidere se e quando morire, come se la morte fosse a nostra disposizio­ne».

Non va però in questa direzione la sua indagine.

«Se attraverso le nuove frontiere della ricerca abbiamo sconfitto la malattia, è perché essa ci ha comunque abitato, ci ha messo di fronte al buio del dolore, all’oscurità del corpo che non è di luce trasparent­e. Alla fine, come osserva Eliot, tutto ciò che nasce deve morire. Anche il superuomo si scontrerà con il problema della morte, a mio giudizio ineliminab­ile dall’umano. La tentazione di superarla era già nella Genesi, quando il diavolo dice ad Adamo ed Eva: “Prendendo la mela dell’Albero della conoscenza diventeret­e come Dio”. In realtà, è in quel momento che capiscono di essere umani, che scoprono la morte e la loro corporeità».

Partendo dal «Naufragio con spettatore» di Lucrezio, si sofferma sul tema dei migranti. Chi è il testimone di questi terribili eventi e cosa lo differenzi­a dallo spettatore?

«Primo Levi ha vissuto in modo lacerante l’obbligo etico di testimonia­re, pensando che il suo impegno non fosse sufficient­e a dare conto dell’orrore di Auschwitz, e che per questo quel male avrebbe potuto ripresenta­rsi. Il testimone è una figura fondamenta­le, non si limita a guardare, e magari come Lucrezio a gioire dello spettacolo, ma avverte la responsabi­lità etica di far conoscere agli altri quanto accade. Il problema è che sempre più siamo spinti dalla capacità enorme dei media di portarci davanti agli occhi tutto quanto succede e trasformar­ci in spettatori, cancelland­o così il compito del testimone».

Più volte mette a confronto essere umano ed essere animale: dove scorre il confine?

«Per Georges Bataille, l’uomo si separa dall’animalità accettando una serie di regole e rituali che fondano e strutturan­o la vita comunitari­a. Nega la sua parte animale attraverso il matrimonio, che regola l’istinto, e attraverso il dominio del lavoro. Con l’erotismo, avviene un riavvicina­mento all’animale, ma è un riavvicina­rsi che mette in drammatica tensione la nostra umanità».

Dalla sua analisi esce una profonda fiducia nell’umano, nonostante tutto.

Animalità e istinto

Per Georges Bataille l’essere animale si supera accettando una serie di regole Con l’erotismo, avviene un riavvicina­mento, ma è un riavvicina­rsi che mette in tensione ciò che siamo

«Sono dalla parte dell’umano totalmente, con tutte le fragilità e debolezze la nostra realtà è ciò che di meglio abbiamo. La negazione dell’umano attraverso il sogno, spesso delirante, di un superuomo che vi si allontana è addirittur­a antitetica rispetto alla densità dell’umano, con l’esperienza del dolore ma anche della felicità e delle passioni. Nella IX Elegia, Rilke afferma che noi sappiamo più dell’angelo, creatura eterna che non conosce né dolore né morte».

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 ??  ?? Metafisica Giorgio De Chirico, «Ettore e Andromaca» (1917, Galleria Nazionale) simbolo dello smarriment­o moderno
Metafisica Giorgio De Chirico, «Ettore e Andromaca» (1917, Galleria Nazionale) simbolo dello smarriment­o moderno

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