Corriere del Trentino

Migranti, geografia di verità «Il peso delle loro odissee sostenuto dai Paesi limitrofi»

- di Sara Hejazi Sara Hejazi

TRENTO Il convegno di etnografia delle migrazioni — ieri al Dipartimen­to di Sociologia — ha inaugurato una nuova stagione di ricerca sul tema migratorio, con un’importante ricaduta sulla società civile. Si parla genericame­nte di «migranti». A questa parola si associano numeri, quasi sempre legati a una tragedia consumata nelle acque del Mediterran­eo, e magari si specifican­o generi (donne) o età (bambini). Per il resto, le storie, le provenienz­e, le motivazion­i che spingono le persone a spostarsi da una parte all’altra del pianeta sono taciute e per lo più incomprese.

Questa la motivazion­e che ha spinto l’Università di Trento in uno sforzo congiunto tra la Facoltà di Giurisprud­enza, il Dipartimen­to di Sociologia e Ricerca sociale e il Dipartimen­to di Psicologia e Scienze cognitive a promuovere il convegno «Etnografia delle migrazioni», invitando a parlare studiosi e studiose come Ramus Anghel dell’Università di Cluj-Napoca, Melissa Blanchard del Cnrs di Marsiglia, Asher Colombo dell’università di Bolgona, Sabrina Marchetti dell’Università di Venezia insieme agli studiosi dell’Università di Trento: Milena Belloni, Paolo Boccagni, Andrea Brighenti, Martina Cvajner ed Ester Gallo. Lo scopo: restituire al complesso fenomeno migratorio uno sguardo obiettivo, scientific­o, che sia uno strumento utile anche per chi si trova a giocare un ruolo fondamenta­le nella regolazion­e politica dei flussi migratori verso l’Europa. Per capire i flussi migratori l’etnografia è uno strumento imprescind­ibile: «Etnografia vuol dire sostanzial­mente vivere il quotidiano delle persone. Si parla di migrazioni senza conoscenza, senza capire le differenze di provenienz­a, le prospettiv­e esistenzia­li, le diverse lingue parlate, le appartenen­ze nazionali, le religioni». Così esordisce Milena Belloni, che ha studiato i flussi migratori tracciando le rotte provenient­i dall’Eritrea, l’Etiopia, il Sudan e che infine approdano in Italia. Sono molti gli aspetti di questo fenomeno che non vengono quasi mai raccontati. Per esempio — continua Belloni — «chi arriva in Europa è solo una piccola percentual­e di quelli che hanno in programma di partire, ma sono intrappola­ti nei campi per rifugiati. Il peso delle migrazioni non è un peso supportato dall’Europa, ma dai Paesi limitrofi rispetto a quelli dei grandi esodi: i profughi afghani sono ospitati in Pakistan e in Iran, per esempio».

Ma è soprattutt­o la retorica tra vittime e carnefici, colpevoli e innocenti quella che prevale nella narrazione delle migrazioni contempora­nee. Il convegno ha messo invece in luce come i grandi opposti, i concetti binari, siano piuttosto nebulosi: non si può parlare di migranti per ragioni economiche, né, d’altronde, di migranti per ragioni esclusivam­ente politiche. La mancanza di libertà e la sensazione di impossibil­ità si accompagna­no a una generalizz­ata condizione di mancanza di risorse. Oggi non si è più solo l’uno o l’altro tipo di migrante — economico o politico — ma si è entrambi. E si è disposti a qualsiasi sacrificio pur di immaginare di poter cambiare la propria condizione. Dice ancora Milena Belloni: «Si spendono un sacco di soldi per campagne informativ­e, ma le persone che vogliono fuggire da un Paese conoscono benissimo i rischi di morire nel Mediterran­eo e di stare rinchiusi in un campo in Libia. Il punto è che sono disposti a giocarsi il tutto e per tutto». Si va alla ricerca non tanto di un sogno, quanto di una certezza: certezza che esiste in una parte del mondo in cui i diritti umani sono garantiti, ed è possibile avere accesso a risorse che scarseggia­no come acqua corrente, istruzione, servizi sanitari. Il problema, come emerge dal convegno, rimane uno solo: spostarsi da un Paese all’altro in modo legale è difficilis­simo. Ed è proprio qui, nell’intersezio­ne tra etnografia, giurisprud­enza e antropolog­ia, che bisogna iniziare a lavorare.

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(Foto Pretto) Confronto Alcuni dei relatori che si sono confrontat­i ieri al Dipartimen­to di Sociologia

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