Bloccati nella grotta invasa dall’acqua per ventiquattro ore: in salvo 5 speleologi
Arco, paura per due speleologi e tre escursionisti bolzanini. Elia: ci siamo scaldati camminando
Nonostante la pioggia battesse forte sulle rocce, non c’era niente all’interno della grotta che facesse presagire un possibile allagamento. Ma tutto a un tratto il «bus del diaol», la grotta di Patone, si è trasformato in un inferno. Intrappolati cinque speleologi per quasi ventiquattro ore da una parete di acqua. «È stata una piccola Thailandia», ha detto con il volto stremato dalla stanchezza il responsabile del Soccorso speleologico di Trento Alexander Pavlovic.
ARCO Nonostante la pioggia che batteva forte sulle rocce, non c’era niente all’interno della grotta che faceva presagire ad un possibile allagamento. Il primo sifone era completamente asciutto e lungo il percorso non c’erano corsi d’acqua attivi. Ma tutto a un tratto il «bus del diaol», come viene chiamata la grotta di Patone, si è trasformato davvero in un inferno. Nessuno dei due speleologi, che guidavano il gruppo di tre escursionisti in visita alla grotta, si immaginava di rimanere intrappolati nel groviglio di cunicoli bui, bloccati per quasi ventiquattro ore da una parete di acqua. «È stata una piccola Thailandia», ha detto con il volto stremato dalla stanchezza il responsabile del Soccorso speleologico di Trento Alexander Pavlovic, facendo il paragone con l’incidente avvenuto nell’estate dello scorso anno ad una squadra di calcio giovanile nella grotta di Tham Luang Nang Non.
I cinque escursionisti erano partiti alle 9 di domenica mattina da Bolzano, dove risiedono, per una delle due uscite organizzate ogni anno da «Fledermaus esplorazioni», un gruppo di speleologi altoatesini che accompagna tutti i curiosi alla loro prima esperienza in una grotta. Una volta giunti in località Moletta, a nord del centro abitato di Arco, si erano incamminati lungo il sentiero che porta all’ingresso del «buco del diavolo», una grotta orizzontale con un’estensione in lunghezza di circa 800 metri e una temperatura che oscilla tra gli 8 e i 10 gradi centigradi. Attorno alle 11 si erano avventurati nel primo sifone. La visita sarebbe dovuta durare circa sei ore, ma sulla via del rientro uno dei cinque sifoni presenti nella grotta, il terzo in particolare, si era chiuso dietro di loro riempiendosi di sabbia e acqua, a circa 400 metri dall’uscita. Una situazione resa ancora più complicata dalla presenza di due cascate d’acqua che continuavano ad alimentare il sifone.
Quando è scesa sera nessuno aveva notizie di loro. Alle 19.40 un familiare di uno dei cinque escursionisti ha deciso così di lanciare l’allarme per il mancato rientro. Da quel momento in poi si è attivata una gigantesca macchina di soccorsi, formata da una settantina di unità. Una delegazione dei quarantatré operatori del Soccorso speleologico del Trentino-Alto Adige e del Veneto si è riunita al comando dei Vigili del Fuoco di Arco con una quindicina di pompieri, guidati dal comandante Stefano Bonamico. Vista la gravità della situazione si è deciso immediatamente di costruire un campo-base di emergenza nei pressi della grotta. Il primo contatto con i cinque escursionisti è avvenuto intorno alle 21 dopo che una squadra di speleologi ha battuto i pugni sulla parete del cunicolo, ricevendo una risposta dal fronte opposto. A quel punto, sono state portate sul posto due pompe a immersione, alimentate da un gruppo elettrogeno esterno con una prolunga di circa 500 metri, per aspirare l’acqua dal sifone. Nel frattempo, con dei teli e un sistema di tubi, un gruppo di soccorritori era impegnato a deviare l’acqua delle due cascate per evitare che il sifone continuasse a riempirsi. Soltanto verso le 6 di mattina il sifone è stato praticamente svuotato dall’acqua e si è cominciato a scavare per togliere il deposito di sabbia che ancora ostruiva il passaggio, fino ad arrivare nel luogo dove erano rimasti bloccati i cinque escursionisti. Dopo essere stati rifocillati, riscaldati e dopo una valutazione delle loro condizioni sanitarie da parte dei medici del Soccorso alpino, i cinque escursionisti sono stati accompagnati in sicurezza fuori dalla grotta e hanno potuto fare il loro rientro a casa.
«Non abbiamo mai avuto la sensazione di abbandono — racconta Giovanni Elia, uno dei due speleologi, insieme a Michele Ricci, che accompagnava i tre escursionisti bolzanini durante la visita — Siamo riusciti a mantenere la calma, consapevoli che fuori dalla grotta c’erano persone incaricate di allertare i soccorsi se non avessero avuto notizie entro un certo lasso di tempo. Avevamo da mangiare, da bere e tutto lo spazio per camminare in modo da poterci riscaldare. Ovviamente abbiamo visto l’inferno quando abbiamo visto tutta quell’acqua. Ma non appena ci siamo resi conto che non potevamo fare niente da soli, ci siamo fidati ciecamente dell’abilità dei soccorritori. Va fatto un grosso applauso a loro».
Il soccorritore
È stata una piccola Thailandia. Solo alle 6 del mattino abbiamo svuotato il sifone