«Mio fratello mi ha colpito perché sono gay»
Tentato omicidio a Borgo, Fulvio Cipriani racconta il suo disagio
«Sono omosessuale e mio fratello non accetta la mia diversità. È omofobo». Fulvio Cipriani, 53 anni, mostra la ferita sul collo e racconta i drammatici momenti vissuti giovedì sera quando il fratello Teddy lo ha colpito con un coltello. «Non c’è stato alcun litigio, mi ha atteso sotto casa per due ore».
TRENTO Il foulard annodato attorno alla gola nasconde la ferita. «Voglio che le persone mi guardino per quello che sono, non perché sono un maltrattato», dice con fermezza. Fulvio Cipriani ha un grosso cerotto in corrispondenza della gola, la lesione per fortuna è superficiale. «I medici mi hanno detto che per pochi millimetri non sono state lesionate le corde vocali». Ma non è quella fisica la ferita più profonda. Fulvio giovedì sera è stato accoltellato sotto casa di un’amica dal fratello Teddy, 55 anni di Borgo. Un fendente al collo che poteva ucciderlo. «Non ricordo molto, ho visto il sorriso di mio fratello, poi ho sentito il sangue. Sono omosessuale e lui è omofobo».
Quando è nata questa situazione di forte conflitto con suo fratello e suo padre?.
«Dopo la morte di mia madre, lei riusciva a tenere insieme la famiglia. Mia mamma era a conoscenza della mia omosessualità, a lei non dava fastidio e riusciva a tenere tranquilli gli altri due».
È stato lei a confidarsi?
«Tra gli anni ‘80-’90 andammo a Pozzuoli da una famiglia di amici che erano omosessuali come me. Le madri riescono a intuire le cose prima dei figli. Mi disse: sei anche tu come loro. Non era una domanda e io le risposi di sì. Mi diede alcuni consigli e con lei si erano messe a posto molte cose, soprattutto con mio fratello Teddy».
Allora suo fratello era a conoscenza della sua omosessualità?
«L’aveva capito. Durante le feste con amici mi arrivava sempre qualche bordata. Ma la mamma riusciva a mediare ad arginare l’omofobia di mio fratello, poi quando è morta, il 26 giugno del 2016, è venuto a mancare questo timone. A quel punto mio fratello si sentì libero di esprimere tutto il suo odio verso di me. Credo che l’omofobia sia una malattia dell’anima».
Suo fratello le ha mai spiegato il motivo? Secondo lei è un problema culturale?
«Non riesco a capirlo. Suo figlio, mio nipote, è sempre venuto in vacanza con me, siamo stati a Roma anche nel 2016. Non stiamo parlando di secoli fa. Allora c’era la mamma, però, era la garante. Ora li ho tutti contro. Sono tre anni che non parlo più con loro e anche quella lite furibonda, di cui si è parlato sui giornali, è una falsità. Non c’è stata alcuna lite. Teddy mi ha aspettato due ore sotto casa di una mia amica, che in questi giorni mi sta ospitando».
Cosa ricorda di quei brevi momenti prima dell’accoltellamento?
«Sono ipovedente, da lontano ho visto solo un uomo appoggiato al portone. Soltanto quando era a pochi passi da me mi sono accorto che era mio fratello. E non sono fuggito. L’ho guardato in faccia, ma non sono fuggito».
Teddy cosa le ha detto?
«Nulla, ha fatto solo un sorriso soddisfatto, poi mi ha colpito. Non mi sono accorto di alcun movimento, non ho sentito male. L’ho visto fuggire e a quel punto ho sentito il sangue sul collo e ho urlato. Nadia e la figlia, due mie amiche, sono accorse in mio aiuto. Lei in un primo momento non aveva capito, quando ha visto Teddy, ha sperato in un avvicinamento, ma appena è corsa verso di me e ha aperto il cappotto le è rimasto tra le mani il coltello».
Secondo lei voleva davvero ucciderla o solo spaventarla?
«Voleva uccidermi. In passato, era novembre del 2016, mi aggredì e mi minacciò. Voleva strangolarmi, mi sferrò un pugno e mi disse “quela faccia da frocio con i ociai te la spappolo con la pistola”. Poi disse che non si sarebbe sporcato le mani, ma avrebbe incaricato qualcuno per farlo. Il 12 maggio 2017 mi minacciò di nuovo, aveva buttato giù la porta con una spallata e dopo mi colpì con un pugno sull’occhio. Era stato terrificante. Aveva buttato tutto all’aria, quadri, oggetti... Giovedì è arrivato con il coltello in tasca, tipo da caccia; le armi non le ha più perché gliele hanno ritirate».
Com’era il vostro rapporto da ragazzi?
«È sempre stato conflittuale, ma sono andato via di casa a 16 anni. Sono andato a Roma per studiare teologia, ho fatto un corso anche ad Assisi e per 18 anni ho insegnato religione, poi ho perso la vista e purtroppo non ho più potuto insegnare».
Com’è il legame con suo padre?
«Lui non è mai stato una figura di riferimento per me, è omofobo anche lui, ma credo che sia condizionato da mio fratello. Quando vivevo ancora con loro mi facevano dispetti, come chiudere l’acqua calda perché non mi potessi fare la doccia. E questo è stato solo l’inizio».
Ha paura ora?
«Ho molta paura. Temo che ci possa riprovare. Il carcere non ti riabilita, puoi conoscere tante persone e lui l’ha promesso. Potrebbe incaricare qualcuno, l’ho detto anche ai carabinieri. Da tempo non vivo più in Trentino, ma fuori provincia in una casa protetta che ho trovato grazie all’Associazione Cuore. In questi giorni ero tornato per il processo».
Alla base dei conflitti c’è anche un problema di eredità? Lei è stato costretto a rivolgersi al giudice per chiedere un aiuto ai suoi familiari quando ha perso il lavoro.
«Mia mamma mi aiutava, mi dava un po’ di soldi al mese, sto cercando lavoro e prendo una piccola pensione d’invalidità. Loro non vogliono aiutarmi e non vogliono neppure che abbia l’eredità che mi spetta. Prima di morire mia madre mi chiese cosa volessi, ma io le dissi: “nulla, non ho famiglia”. Mi lasciò la legittima, è prevista per legge, ma mio padre e Teddy non lo accettano».
La loro omofobia è un pretesto dunque?
«No, c’è un’intolleranza di fondo. È stato detto che io ho esasperato Teddy, ma non è vero. Non accettano la mia diversità e hanno condizionato tutti. Sabato una parente mi ha detto che devo vergognarmi. Invece il paese mi è stato davvero vicino, ho ricevuto tantissime telefonate e messaggi».
Ha mai pensato di ritirare la querela per appianare la situazione?
«No. Non odio, ma non perdono».
Il dramma In passato mi minacciò Giovedì mi ha aspettato per due ore sotto casa
Le denunce Non ho esasperato nessuno Non odio, ma non perdono