POLICENTRISMO, UN VALORE
Arischio di essere tacciato di empietà, mi avventuro a dire che la vera festività patronale di Rovereto dovrebbe cadere quando è stata occupata dalla Repubblica di Venezia.
zioni e privilegi fiscali, fecero di Rovereto, in appena un secolo, un importante centro industriale, commerciale e culturale, in contrapposizione all’immobilismo di Trento.
Quando poi, nel primo decennio del Cinquecento, Venezia, sconfitta, dovette cederla all’impero d’Austria, Rovereto non tornò alla sovranità del Principato vescovile, ma divenne una fiorente città dell’impero, cui l’imperatore riconfermò i privilegi concessi da Venezia, facendone un avamposto per i rapporti commerciali con l’Italia e il resto d’Europa. Né questa missione si esaurì con gli sconvolgimenti dell’Ottocento. La grande intrapresa, di dimensioni europee, della Manifattura tabacchi, avviata dall’Austria a metà Ottocento, quando il Lombardo Veneto era ancora un possedimento degli Asburgo, l’offerta dell’impero di farne la sede universitaria per tutte le regioni italiane dell’impero — che malaccortamente Rovereto respinse per solidarietà con Trieste, con la conseguenza che entrambe le città rimasero a mani vuote — dimostrano quale ruolo importante l’impero affidava alla città della quercia, ruolo che continuò fino alla Grande guerra.
Tuttavia, questo sorprensviluppo di cinque secoli, fu reso possibile dall’avverarsi di una fondamentale condizione iniziale: la sottrazione del suo territorio alla sovranità del Principe vescovo di Trento. Un regime feudale e religioso come quello del piccolo Principato vescovile, condizionato oltretutto da una città come Trento, che era ancor più conservatrice, non era infatti compatibile con un’autonomia politica e uno straordinario sviluppo economico e culturale che caratterizzavano la città della quercia, uno dei centri europei dell’illuminismo e che la contrapponevano a Trento.
Fu il crollo di questa fondamentale cornice a segnare l’inizio della decadenza della città. Per ironia della sorte, accadde che l’annessione all’Italia, che Rovereto più di qualsiasi altra città trentina, aveva invocato, e per la quale pagò un doloroso tributo in termini di distruzioni ed esodi durante la Grande guerra, segnò il suo declino. L’ avvento dello Stato italiano fu traumatico. La vasta autonomia di cui la città godeva grazie alla legislazione austriaca, scomparve, dissolta dalla legislazione italiana improntata al più rigido centralismo. Fondamentali istituzioni che la città si era creato per sorreggere il suo sviluppo, la Camera di Commercio e la Cassa di Risparmio, trasmigrarono verso Trento. La mazzata finale venne con lo spossessamento, in favore della Edison, disposta dal fascismo, della centrale del Ponale che, su impulso del podestà Defrancesco, la città aveva realizzato, per fornire all’industria roveretana energia elettrica abbondante e a basso prezzo.
Ma nonostante tutto, nel secondo dopoguerra e con l’avvento dell’autonomia nel 1948, la città era ancora un importante centro industriale. Ed è mortificante dover costatare che nel corso di questi 70 anni di regime autonomistico di cui Trento ebbe la regia, Rovereto, ricaduta sotto la sua giurisdizione dopo mezzo millennio, è stata soggetta ad un permanente processo di deindustrializzazione, cui ha reagito con tutta la vitalità di cui ancora dispone, ma senza riuscire ad invertirne il corso. Oggi Rovereto e la Vallagarina sono l’area del Trentino più in difficoltà e rischia di perdere quel ruolo trainante che aveva svolto per cinque secoli. Questo rappresenta anche un fallimento dell’autonomia, di cui peraltro l’intero Trentino ha preso atto.
Lo tsunami elettorale, che maturava da tempo, e che ha licenziato in tronco un’intera classe dirigente dell’autonomia trentina, non è il frutto di una strategia politica alternativa, elaborata dalla nuova maggioranza (che finora ha dimostrato di esserne priva) ma dal rigetto di una politica ispirata ad un centralismo burocratico ed inefficiente, arroccato a Trento, che comprime le energie del territorio il cui sviluppo perde colpi anche in comparazione con le altre realtà confinanti. All’origine della svolta c’è stata senza dubbio anche un’incontrollata ondata umorale, caratteristica dei nostri tempi, che non ha tenuto conto di quanto l’autonomia ha comunque realizzato. Ma il giudizio di fondo non cambia.
Alle urne Lo tsunami elettorale, che ha licenziato in tronco un’intera classe dirigente dell’autonomia trentina, non è il frutto di una strategia politica alternativa ma dal rigetto di una politica ispirata ad un centralismo arroccato a Trento