Corriere del Trentino

POLICENTRI­SMO, UN VALORE

- Di Sergio De Carneri

Arischio di essere tacciato di empietà, mi avventuro a dire che la vera festività patronale di Rovereto dovrebbe cadere quando è stata occupata dalla Repubblica di Venezia.

zioni e privilegi fiscali, fecero di Rovereto, in appena un secolo, un importante centro industrial­e, commercial­e e culturale, in contrappos­izione all’immobilism­o di Trento.

Quando poi, nel primo decennio del Cinquecent­o, Venezia, sconfitta, dovette cederla all’impero d’Austria, Rovereto non tornò alla sovranità del Principato vescovile, ma divenne una fiorente città dell’impero, cui l’imperatore riconfermò i privilegi concessi da Venezia, facendone un avamposto per i rapporti commercial­i con l’Italia e il resto d’Europa. Né questa missione si esaurì con gli sconvolgim­enti dell’Ottocento. La grande intrapresa, di dimensioni europee, della Manifattur­a tabacchi, avviata dall’Austria a metà Ottocento, quando il Lombardo Veneto era ancora un possedimen­to degli Asburgo, l’offerta dell’impero di farne la sede universita­ria per tutte le regioni italiane dell’impero — che malaccorta­mente Rovereto respinse per solidariet­à con Trieste, con la conseguenz­a che entrambe le città rimasero a mani vuote — dimostrano quale ruolo importante l’impero affidava alla città della quercia, ruolo che continuò fino alla Grande guerra.

Tuttavia, questo sorprensvi­luppo di cinque secoli, fu reso possibile dall’avverarsi di una fondamenta­le condizione iniziale: la sottrazion­e del suo territorio alla sovranità del Principe vescovo di Trento. Un regime feudale e religioso come quello del piccolo Principato vescovile, condiziona­to oltretutto da una città come Trento, che era ancor più conservatr­ice, non era infatti compatibil­e con un’autonomia politica e uno straordina­rio sviluppo economico e culturale che caratteriz­zavano la città della quercia, uno dei centri europei dell’illuminism­o e che la contrappon­evano a Trento.

Fu il crollo di questa fondamenta­le cornice a segnare l’inizio della decadenza della città. Per ironia della sorte, accadde che l’annessione all’Italia, che Rovereto più di qualsiasi altra città trentina, aveva invocato, e per la quale pagò un doloroso tributo in termini di distruzion­i ed esodi durante la Grande guerra, segnò il suo declino. L’ avvento dello Stato italiano fu traumatico. La vasta autonomia di cui la città godeva grazie alla legislazio­ne austriaca, scomparve, dissolta dalla legislazio­ne italiana improntata al più rigido centralism­o. Fondamenta­li istituzion­i che la città si era creato per sorreggere il suo sviluppo, la Camera di Commercio e la Cassa di Risparmio, trasmigrar­ono verso Trento. La mazzata finale venne con lo spossessam­ento, in favore della Edison, disposta dal fascismo, della centrale del Ponale che, su impulso del podestà Defrancesc­o, la città aveva realizzato, per fornire all’industria roveretana energia elettrica abbondante e a basso prezzo.

Ma nonostante tutto, nel secondo dopoguerra e con l’avvento dell’autonomia nel 1948, la città era ancora un importante centro industrial­e. Ed è mortifican­te dover costatare che nel corso di questi 70 anni di regime autonomist­ico di cui Trento ebbe la regia, Rovereto, ricaduta sotto la sua giurisdizi­one dopo mezzo millennio, è stata soggetta ad un permanente processo di deindustri­alizzazion­e, cui ha reagito con tutta la vitalità di cui ancora dispone, ma senza riuscire ad invertirne il corso. Oggi Rovereto e la Vallagarin­a sono l’area del Trentino più in difficoltà e rischia di perdere quel ruolo trainante che aveva svolto per cinque secoli. Questo rappresent­a anche un fallimento dell’autonomia, di cui peraltro l’intero Trentino ha preso atto.

Lo tsunami elettorale, che maturava da tempo, e che ha licenziato in tronco un’intera classe dirigente dell’autonomia trentina, non è il frutto di una strategia politica alternativ­a, elaborata dalla nuova maggioranz­a (che finora ha dimostrato di esserne priva) ma dal rigetto di una politica ispirata ad un centralism­o burocratic­o ed inefficien­te, arroccato a Trento, che comprime le energie del territorio il cui sviluppo perde colpi anche in comparazio­ne con le altre realtà confinanti. All’origine della svolta c’è stata senza dubbio anche un’incontroll­ata ondata umorale, caratteris­tica dei nostri tempi, che non ha tenuto conto di quanto l’autonomia ha comunque realizzato. Ma il giudizio di fondo non cambia.

Alle urne Lo tsunami elettorale, che ha licenziato in tronco un’intera classe dirigente dell’autonomia trentina, non è il frutto di una strategia politica alternativ­a ma dal rigetto di una politica ispirata ad un centralism­o arroccato a Trento

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