«Mediocredito, banca corporate»
Fracalossi: «Siamo interessati alle quote della Provincia. Carige? È come una grande Bcc»
Giorgio Fracalossi, presidente di Cassa centrale banca, tratteggia il perimetro di un anno di attività dalla nascita del nuovo gruppo del credito cooperativo: 300 nuove assunzioni, un altro centinaio in programma. E guarda al Trentino: «Le fusioni tra banche? Dovranno continuare» sostiene. E «Mediocredito vorremmo diventasse la banca corporate del gruppo».
Giorgio Fracalossi, presidente di Cassa centrale banca e del gruppo Cassa centrale, tra poco meno di un mese sarà passato un anno da quando a Trento ha sede la capogruppo del primo gruppo bancario cooperativo italiano. L’impatto per la città, dal punto di vista delle assunzioni, qual è stato?
«Cassa centrale banca fino a due anni fa aveva circa 210-220 dipendenti. Oggi è stata superata la soglia dei 500 e il progetto di rafforzamento della struttura prevede di arrivare all’incirca a 600 persone, senza contare le altre società strumentali e controllate, ad esempio Phoenix e Ibt che si occupano dell’informatica. Nel complesso, all’interno del gruppo nelle varie sedi lavorano circa 1.300 persone, di cui 800 a Trento».
Chi sono i nuovi assunti?
«Molti sono giovani laureati in economia, matematica e giurisprudenza provenienti dall’ateneo trentino, ma ci sono anche persone venute da fuori attirate dalla partenza del gruppo e dal progetto. Anche se, a essere sinceri, non siamo molto attrattivi dal punto di vista della logistica, perché è vero che Trento è la città con la qualità della vita più alta d’Italia ma è anche vero che alcuni candidati che avevamo contattato a Milano, Roma o Bologna non si sono resi disponibili per la sede».
Tutti i nuovi assunti lavorano nella sede di via Segantini?
«No, abbiamo uffici anche al Sait, in via Brennero, in via Dogana, in via Aconcio. Non siamo in un’unica struttura e questo è un handicap».
Acquisterete il palazzo di Federcoop?
«Abbiamo avviato un ragionamento con la Federazione per farlo. Questo permetterebbe di risolvere la gran parte dei problemi. E poi il palazzo è già occupato per due terzi da nostri dipendenti».
Attualmente sono 17 le Casse rurali trentine del gruppo: ora Trento si fonderà con Lavis, la Adamello con Giudicarie,Valsabbia, Paganella. Qual è il piano di revisione degli attuali assetti? C’è un optimum che vorreste raggiungere?
«Finora le fusioni in Trentino sono state portate avanti dalle Casse rurali in accordo fra di loro, come Cassa centrale banca non abbiamo mai esercitato forzature. Le singole banche con grande responsabilità e consapevolezza hanno capito che le fusioni sono necessarie. Siamo convinti che dovranno ridursi ancora ma non saprei indicare un numero definito».
Perché parla di necessità?
«È cambiato il mondo. I
nuovi concorrenti non sono più solo altre banche, player come Google, Amazon e Facebook si sono impossessati di una fetta di mercato nel mondo dei pagamenti e dei crediti senza essere nemmeno vigilati. C’è poi il tema della digitalizzazione: in banca si va molto meno rispetto a una volta, tante operazioni si fanno online anche se noi abbiamo sedi periferiche dove occorre fare ragionamenti diversi. Si pensi poi ai tassi negativi: dieci anni fa c’era uno spread tra i tassi del 4-5% e in questa forbice si riusciva a collocare tutti i costi della banca, oggi la forbice si è ridotta a 1,50-1,60%, anche per questo si stanno sviluppando attività diverse dall’intermediazione del denaro, dall’assicurativo alla previdenza».
Le critiche di chi si oppone a questa visione si basano sul timore dello sradicamento degli istituti di credito dal territorio e sul venire meno dell’elemento identitario: come rassicurare chi esprime queste posizioni?
«La vicinanza al territorio la si può mantenere se ci si dà degli assetti organizzativi che abbiano un significato per far condividere partecipazione e senso di appartenenza. La relazione è sempre stata la fortuna delle Casse rurali ma deve essere di qualità, perché l’aspetto della socialità è importante, ma prima di tutto siamo banche: è necessario, dunque, far quadrare i conti. Poi con i risultati che si riesce a ottenere si è in grado di fare moltissime cose».
Anche il governatore Maurizio Fugatti si è dimostrato perplesso rispetto ai processi di fusione, in particolare rispetto al tema dell’accesso al credito: le banche sono meno numerose di un tempo, il sistema creditizio trentino potrebbe fare più fatica a garantire finanziamenti alle categorie economiche. È un timore fondato?
«C’è una normativa molto rigida sulla concessione dei crediti. Ogni singola Cassa rurale può decidere autonomamente senza chiedere a Cassa centrale banca di erogare credito verso una singola controparte fino a un massimo del 9% del proprio patrimonio. Questo limite noi ce lo siamo autoridotto perché si tratta di una cifra non ragionevole: se dovesse accadere, la pratica verrebbe analizzata in Cassa centrale e frazionata in modo da diversificare il rischio su più istituti. Il problema non è la disponibilità a erogare credito, il punto è che l’economia non è davvero ripartita e anche le domande di credito non sono poi così tante».
Su questo tema la Provincia guarda molto a Mediocredito, vorrebbe una banca che si occupasse più dell’accesso al credito di artigiani e industriali. Cassa Centrale Banca come vede la questione?
«Noi stiamo aspettando che la Provincia decida cosa vuole fare con le sue quote. Al momento deteniamo la gestione industriale, per così dire, di Mediocredito, ma il nostro obiettivo sarebbe farla diventare la banca corporate del gruppo, perché già oggi non lavora solo in Trentino Alto Adige ma anche in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna. Può essere secondo noi la banca delle imprese».
Quanto all’operazione Carige, in che modo l’istituto ligure diventerebbe strategico per Cassa centrale banca?
«Ci aprirebbe le porte in un territorio dove ancora non siamo presenti. Nonostante le traversie, si tratta di una banca importante dal punto di vista del radicamento, non solo in Liguria ma anche in Toscana, nel Piemonte, nel sud ovest della Lombardia. In quest’ottica ci sembra una grande Bcc: se in questi anni non ci fosse stato il radicamento dei soci, oltre 50.000, la fuga di risparmi sarebbe stata molto più accentuata. Carige credo sia, per i genovesi in particolare, ciò che per noi è stata la Cassa di risparmio».
Qual è la road map dell’operazione a oggi?
«Il Fondo interbancario deve procedere ora con l’aumento di capitale, nominare il nuovo consiglio e poi mettere in piedi le attività per raddrizzare la banca».
Parteciperete alla designazione del nuovo cda?
«Sul tema della governance o sulla strategia bancaria non potremo intervenire in alcun modo».
Esercitare l’opzione di acquisto sulle quote del Fitd rientra comunque fra i vostri piani?
«Se tutto funziona sì. Noi non abbiamo obblighi, abbiamo fatto due operazioni staccate e quando sarà il momento il consiglio di Cassa centrale deciderà se esercitare o meno l’opzione anche in funzione di come sarà la banca: abbiamo due anni di tempo per capire».
Fusioni
Sono state effettuate dalle Casse rurali in accordo fra loro, nessuna forzatura. Il numero degli istituti di credito dovrà ridursi ancora
Operazione Carige Ci sembra una grande Bcc: se in questi anni non ci fosse stato il radicamento dei soci, la fuga di risparmi sarebbe stata più accentuata
Attrattività Abbiamo assunto molti giovani neo-laureati, ma alcuni candidati che sono stati contattati da fuori hanno rinunciato per il luogo della sede