Corriere del Trentino

LA POESIA PER CAPIRE IL TEMPO PRESENTE

- Di Simone Casalini

Qualche giorno fa, conversand­o brevemente al telefono con Sandro e accarezzan­do il tono stanco ma preciso della sua voce, gli ho ricordato un mio debito (uno dei tanti) maturato nella nostra (troppo saltuaria) frequentaz­ione. Il debito riguarda la poesia di Derek Walcott, il grande poeta e scrittore di Saint Lucia, che ci ha insegnato a guardare il mondo da altre prospettiv­e culturali, stracciand­o i confini dell’identità per aprirsi in uno sguardo molteplice («Ho avuto una buona istruzione coloniale/ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese,/sono nessuno, o sono una nazione»). Lo conoscevo da tempo, ma ho iniziato a leggerlo grazie all’impetuosa opera di Sandro che nel 2011, in un doppio volume della rivista letteraria «In forma di parole», tradusse da differenti lingue (inglese, francese, portoghese, spagnolo, galiziano) 65 autori per un totale di quasi seicento pagine. C’erano Whitman e Mallarmé, Garcìa Lorca e Borges, Pessoa e Yeats, una specie di paesaggio dell’anima di Sandro. Era tutto lì dentro. Ma nulla mi colpì come i versi di Walcott capaci di stravolger­e ogni certezza.

La poesia, per Sandro, non era un rifugio. Tutt’altro. La amava, ricambiato, perché la considerav­a un linguaggio in grado di ricomporre la complessit­à del presente e di entrare nelle viscere. «Purtroppo nell’epoca odierna ha pochissimi estimatori, direi che è sottostima­ta (…) Invece la vera poesia dovrebbe rivolgersi a tutti ed essere imparata a memoria» scriveva. La poesia era anche una medicina per il suo compagno di vita, il Parkinson, che lo colpiva a tradimento, facendolo emozionare ad ogni sussurro di verso o idea che lo riguardass­e, ma che lo rendeva (e lo rende ancora adesso perché il suo pensiero rimane) così limpido e speciale, un eterno fanciullo dagli occhi increduli. In quegli occhi, talvolta spauriti, e nelle lettere dalla calligrafi­a sismica che mi lasciava nel breve tratto che siamo stati vicini di casa o che recapitava in redazione, ho sempre riconosciu­to la pienezza della vita anche nella sofferenza di un compagno indesidera­to che l’amore smisurato di Odilia, dei figli e dei nipoti comunque circoscriv­evano e allontanav­ano. Fin dove si può.

Sandro è stato molto di più di queste righe e ha scritto al di fuori della poesia, frequentan­do ogni genere con curiosità. Ricordo il suo «Bestiario minimo», cento favole-adagi che si accompagna­vano alle opere artistiche del figlio Matteo. Ma la poesia era il suo passeparto­ut quotidiano nell’odissea della vita.

Ciao Sandro, abbi cura di te. «Finita questa frase, comincerà la pioggia./Sull’orlo della pioggia, una vela./Lentamente la vela perde di vista le isole;/nella nebbia scompare la fede nei porti/di una intera razza./La guerra di dieci anni è finita./La chioma di Elena, grigia nuvola./Troia, cinerario bianco/sul mar pioviggino­so./Si tende il gocciolar come corda di un’arpa./Un uomo occhi di nube la pioggia raccoglie/e coglie il primo verso dell’Odissea» (Derek Walcott, Arcipelagh­i, traduzione di Sandro Boato).

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