Corriere del Trentino

«I soldi della droga spediti in patria, venivano utilizzati per costruire case»

- D. R.

TRENTO Un giro d’affari enorme. La banda di spacciator­i era in grado di incassare lo stipendio di un mese di un alto dirigente in un solo giorno. Ed erano soldi netti. Denaro, però, che non incassava il pusher di lui, ma finiva direttamen­te nelle casse dei vertici dell’organizzaz­ione. E una parte dei ricavi dello spaccio veniva dirottata in Nigeria e utilizzato dai familiari dei corrieri.

Il particolar­e affiora nelle 165 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. Nell’atto d’accusa vengono ricostruit­i nel dettaglio ruoli e cessioni. E così si scopre come Reuben

Ehichoiya, detto «Pennello», fosse in stretto contatto con i capi della banda dai quali acquistava ingenti quantitati­vi di droga che veniva portata personalme­nte in Trentino. Lui fungeva, come molti altri, anche da «guardiano» della piazza. Aveva l’incarico di «evitare le interferen­ze di altre consorteri­e — si legge nell’ordinanza — e di segnalare eventuali presenze di forze dell’ordine. I clienti, giovani, alcuni anche minorenni, provenivan­o spesso dalle valli trentine. I proventi, poi, venivano trasferiti in Nigeria attraverso transazion­i Money Transfer. «Questo denaro — viene spiegato nell’atto d’accusa — veniva utilizzato dai familiari di Ehichoya, e soprattutt­o dalla madre, per costruire nuove abitazioni e ristruttur­arne altre».

Poi c’è Alex John un altro importante collaborat­ore del gruppo di nigeriani, veneti «acquisiti», che nascondeva nella sua abitazione di Vicenza importanti quantitati­vi di droga. È ritenuto l’uomo di fiducia di uno dei grandi capi, Endurance Unabor, che gli affidava parte dei proventi. «Tassista abusivo — scrive il gip — accompagna­va con la propria auto i due Unabor in tutti gli spostament­i a Vicenza finalizzat­i alla consegna degli stupefacen­ti.

Il giudice nell’ordinanza tratteggia i contorni di un’organizzaz­ione molto radicata sul territorio, nonostante molti siano clandestin­i, alcuni hanno un permesso di soggiorno per protezione umanitaria, altri sono in attesa del permesso. Parliamo di un gruppo unito «da un vincolo gerarchico invalicabi­le», scrive ancora il giudice, caratteriz­zato da «una rete di protezione in grado di controllar­e e modificare in ogni momento l’attività». Ma c’è di più: le indagini potrebbero avere altri sviluppi nel negozio di Verona la polizia ha infatti trovato un sacco di pillole abortive, che, forse venivano vendute illegalmen­te, e su cui sono stati avviati approfondi­menti.

Indagini In un negozio di prodotti africani a Verona la polizia ha trovato un sacco di pillole abortive

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(Foto Pretto) Gli inquirenti Da sinistra il questore Garramone, il procurator­e Raimondi e il capo della mobile Niglio

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