Corriere del Trentino

PICCOLI, PRATERIA APERTA

- Di Enrico Franco

La ventiquatt­resima edizione di «Artigiano in fiera», l’importante evento milanese che l’anno scorso ha registrato 1,2 milioni di visitatori, ancora una volta vede schierata una folta pattuglia regionale. Sono infatti 66 le nostre aziende in vetrina (34 trentine e 32 altoatesin­e) e l’interesse per la kermesse meneghina risulta in crescita, segno di una certa vitalità. Il settore, d’altronde, viaggia in controtend­enza rispetto all’andamento nazionale, come ha certificat­o l’ultima indagine al riguardo realizzata dalla Cna. L’Alto-Adige/ Südtirol nel 2018 può vantare addirittur­a una crescita del 2,4 per cento rispetto al 2009 e dello 0,2 sull’anno scorso, essendo arrivato a un totale di 13.545 imprese, mentre il Trentino con 12.221 unità segna un calo del 10,8 per cento sul 2009 e dello 0,7 sul 2017. A sud di Salorno pesa però soprattutt­o la crisi del ramo edilizio che invece a nord per gli artigiani sembrerebb­e quasi impercetti­bile, almeno stando ai numeri. Simili risultati non sono certo frutto del caso: basti pensare alle attenzioni che il comparto ha sempre ricevuto dalle due Province autonome, nonché al ruolo delle associazio­ni che hanno messo in campo azioni strategich­e capaci di rafforzare i singoli e pure le reti necessarie a ovviare ai limiti legati alle ristrette dimensioni. Chi ancora pensa che tali attività economiche facciano parte del piccolo mondo antico si sbaglia di grosso, così come è fuori strada chi ritiene che artigianal­e sia sinonimo di una produzione pressoché «casalinga».

Certo, una parte dell’universo è composta ancora da lavori tradiziona­li, tuttavia l’innovazion­e non è affatto una cenerentol­a. Ma, soprattutt­o, molte di queste imprese hanno davanti a sé ottime prospettiv­e se sapranno compiere le scelte giuste. Lo ha ben raccontato l’economista Stefano Micelli nel libro «Fare è innovare» (il Mulino, 2017), partendo da un aneddoto personale: pranzando a Durham (North Carolina) con un collega esperto di globalizza­zione, venne simpaticam­ente rimprovera­to per aver chiesto una birra industrial­e anziché sceglierne una dalla corposa lista delle craft beers. «Fu così — ha poi scritto — che scoprii che le birre artigianal­i italiane sono un fenomeno in crescita da una quindicina di anni, che i produttori sono diventati nell’arco di pochi anni diverse centinaia e che alcuni di loro hanno acquisito una grande visibilità internazio­nale». Se la mitica Moretti era stata acquisita da una multinazio­nale e la fabbrica nel centro di Udine aveva dovuto chiudere i battenti, l’arte birraia italiana era rinata grazie alle micro-aziende che, rispetto ai colossi, non hanno grandi costi né per la gestione del marchio, né per l’organizzaz­ione della logistica e della distribuzi­one, mentre possono offrire una varietà e una unicità straordina­rie. La rivoluzion­e digitale nella produzione, nel marketing e nella commercial­izzazione apre una prateria di opportunit­à che attende solo di essere percorsa. Micelli ha individuat­o cinque regole cui attenersi per dotarsi di un modello organizzat­ivo proiettato nel futuro: racconta il tuo lavoro e il tuo saper fare (alza il sipario e mettici la faccia); investi sul Web e fatti trovare (avrai più amici di quanto immagini); punta sull’e-commerce (e reinventa l’idea di bottega); apriti a comunità di sperimenta­tori (ti aiuteranno a fare ricerca); investi sul design (è il linguaggio del contempora­neo). Il tutto con un avvertimen­to che, in regione, orienta da tempo gli artigiani: fare rete è importante.Ribadito a scanso di equivoci che anche l’economia locale ha bisogno di una spina dorsale industrial­e, le piccole imprese possono davvero assicurare crescita e sviluppo se avranno il coraggio di aprirsi all’inedito. Il che sarà ancor più vero se il sistema orienterà e incentiver­à i giovani verso l’intrapresa imprendito­riale, sia con forme di tutoraggio e servizi adeguati, sia rimuovendo gli ostacoli che rendono difficili i primi passi.

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