PICCOLI, PRATERIA APERTA
La ventiquattresima edizione di «Artigiano in fiera», l’importante evento milanese che l’anno scorso ha registrato 1,2 milioni di visitatori, ancora una volta vede schierata una folta pattuglia regionale. Sono infatti 66 le nostre aziende in vetrina (34 trentine e 32 altoatesine) e l’interesse per la kermesse meneghina risulta in crescita, segno di una certa vitalità. Il settore, d’altronde, viaggia in controtendenza rispetto all’andamento nazionale, come ha certificato l’ultima indagine al riguardo realizzata dalla Cna. L’Alto-Adige/ Südtirol nel 2018 può vantare addirittura una crescita del 2,4 per cento rispetto al 2009 e dello 0,2 sull’anno scorso, essendo arrivato a un totale di 13.545 imprese, mentre il Trentino con 12.221 unità segna un calo del 10,8 per cento sul 2009 e dello 0,7 sul 2017. A sud di Salorno pesa però soprattutto la crisi del ramo edilizio che invece a nord per gli artigiani sembrerebbe quasi impercettibile, almeno stando ai numeri. Simili risultati non sono certo frutto del caso: basti pensare alle attenzioni che il comparto ha sempre ricevuto dalle due Province autonome, nonché al ruolo delle associazioni che hanno messo in campo azioni strategiche capaci di rafforzare i singoli e pure le reti necessarie a ovviare ai limiti legati alle ristrette dimensioni. Chi ancora pensa che tali attività economiche facciano parte del piccolo mondo antico si sbaglia di grosso, così come è fuori strada chi ritiene che artigianale sia sinonimo di una produzione pressoché «casalinga».
Certo, una parte dell’universo è composta ancora da lavori tradizionali, tuttavia l’innovazione non è affatto una cenerentola. Ma, soprattutto, molte di queste imprese hanno davanti a sé ottime prospettive se sapranno compiere le scelte giuste. Lo ha ben raccontato l’economista Stefano Micelli nel libro «Fare è innovare» (il Mulino, 2017), partendo da un aneddoto personale: pranzando a Durham (North Carolina) con un collega esperto di globalizzazione, venne simpaticamente rimproverato per aver chiesto una birra industriale anziché sceglierne una dalla corposa lista delle craft beers. «Fu così — ha poi scritto — che scoprii che le birre artigianali italiane sono un fenomeno in crescita da una quindicina di anni, che i produttori sono diventati nell’arco di pochi anni diverse centinaia e che alcuni di loro hanno acquisito una grande visibilità internazionale». Se la mitica Moretti era stata acquisita da una multinazionale e la fabbrica nel centro di Udine aveva dovuto chiudere i battenti, l’arte birraia italiana era rinata grazie alle micro-aziende che, rispetto ai colossi, non hanno grandi costi né per la gestione del marchio, né per l’organizzazione della logistica e della distribuzione, mentre possono offrire una varietà e una unicità straordinarie. La rivoluzione digitale nella produzione, nel marketing e nella commercializzazione apre una prateria di opportunità che attende solo di essere percorsa. Micelli ha individuato cinque regole cui attenersi per dotarsi di un modello organizzativo proiettato nel futuro: racconta il tuo lavoro e il tuo saper fare (alza il sipario e mettici la faccia); investi sul Web e fatti trovare (avrai più amici di quanto immagini); punta sull’e-commerce (e reinventa l’idea di bottega); apriti a comunità di sperimentatori (ti aiuteranno a fare ricerca); investi sul design (è il linguaggio del contemporaneo). Il tutto con un avvertimento che, in regione, orienta da tempo gli artigiani: fare rete è importante.Ribadito a scanso di equivoci che anche l’economia locale ha bisogno di una spina dorsale industriale, le piccole imprese possono davvero assicurare crescita e sviluppo se avranno il coraggio di aprirsi all’inedito. Il che sarà ancor più vero se il sistema orienterà e incentiverà i giovani verso l’intrapresa imprenditoriale, sia con forme di tutoraggio e servizi adeguati, sia rimuovendo gli ostacoli che rendono difficili i primi passi.