«Soli e abbandonati, così Arca chiude»
Lotta all’anoressia, Biagio e Valeria Surace si sfogano. «Dura fare i volontari»
Sono, da sempre, il motore dell’associazione Arca, che hanno creato nel 1996 per aiutare le famiglie con problemi di anoressia e bulimia. Oggi, però, Biagio e Valeria Surace sono allo stremo: «Ci sentiamo soli e abbandonati — ammettono — se continua così non ci resta che gettare la spugna». La questione è presto detta: «Fare volontariato è sempre più faticoso» denunciano. E chiedono aiuto a famiglie e istituzioni: «C’è bisogno di ricambio».
TRENTO «Ci sentiamo soli e abbandonati, se continua così non ci resta che gettare la spugna». Biagio e Valeria Surace, da sempre, sono il motore di Arca, l’associazione nata a Trento il 12 febbraio 1996 per aiutare le famiglie alle prese con il problema dell’anoressia e della bulimia. Se hanno deciso di sfogarsi è perché il vaso è talmente colmo che non è più possibile fare spallucce facendo finta di nulla. Nessun attacco, nessuna polemica. Unicamente un accorato appello a istituzioni e famiglie: «In questi 24 anni — racconta Valeria —, con l’aiuto di tante persone, abbiamo fatto grandi cose. Abbiamo dato voce, in un momento in cui si aveva paura a parlare di anoressia e bulimia, ai sensi di colpa, d’impotenza, di disperazione di molti genitori. Insomma Arca è stata, ed è ancora oggi perché non vogliamo arrenderci senza lottare, un sostegno e un aiuto per molte famiglie».
Valeria e Biagio, per un tratto della loro vita, si sono trovati dall’altra parte della barricata, a combattere contro una malattia distruttiva. Cercavano un sostegno, un approdo sicuro, capace di aiutarli nell’affrontare l’anoressia che nei primi anni Novanta, da più parti, era ancora vista come una «stranezza alimentare». In Trentino poi si faceva fatica a parlarne. Guai a mettere in piazza simili disagi. La gente non avrebbe capito. Perché la gente prima condanna poi, forse, innesta la retromarcia e torna sui suoi passi, quando magari è troppo tardi. I Surace, ad ogni modo, qualcosa dovevano fare, perché la figlia stava male. Un bel giorno, prendendo il coraggio a quattro mani, decisero di uscire allo scoperto. Di affrontare una volta per tutte, alla luce del sole, quella malattia. Sapevano che avrebbero dovuto mettere in piazza il loro dramma. Ma non avevano altra scelta: dovevano chiedere aiuto.
Quella storia, narrata con delicatezza e senza mai lasciare spazio a una rabbia fine a se stessa, in poco tempo, divenne patrimonio anche di altre famiglie. Le telefonate cominciarono a passare di casa in casa. Prese così forma una condivisione allargata di cos’era in realtà l’anoressia: una patologia tanto grave quanto subdola capace di mettere spalle al muro, non solo chi ne viene colpito, ma pure l’intera famiglia. La costituzione allora di un’associazione per i disturbi alimentari, l’Arca appunto, non poteva che essere il passo successivo. Questa associazione è stata pungolo per arrivare al centro di assistenza odierno coordinato dal dottor Aldo Genovese. Obiettivo, quindi, raggiunto: oggi anoressia e bulimia non sono più «strani comportamenti», esistono fior di professionisti che se ne occupano. Nonostante tutto ciò, nelle parole di Valeria si respira amarezza e stanchezza «perché fare volontariato è sempre più faticoso». Riavvolge il nastro di questi 24 anni ed è come se in pochi minuti davanti ai suoi occhi passassero le migliaia di persone aiutate, consigliate, confortate: «Quello che voglio dire — aggiunge Valeria — è che oggi si parla tanto di fare rete, ma poi in realtà si arranca. Abbiamo fatto molto come Arca, dove siamo tutti volontari senza alcun gettone. Ma adesso mi sento svuotata e vorrei fare una domanda: siamo ancora una risorsa oppure una palla al piede? Siamo serviti, alla fine, solo per smuovere le acque? Non vogliamo essere messi in un angolo perché il lavoro non manca, ma ci sentiamo abbandonati». Un richiamo anche alle famiglie: «Capisco le difficoltà che ci possono essere oggi, ma vi chiediamo di non abbandonarci, di non lasciarci soli. L’Arca ha bisogno di ricambio per andare avanti altrimenti muore. Io, mio marito e chi ci dà una mano non siamo più in grado di fare ciò che facevamo in passato». Sul fatto che Arca sia ancora indispensabile, nessuno dubbio per Valeria e Biagio: «Possiamo ancora essere luogo di mediazione tra la realtà quotidiana e il centro. Abbiamo esperienza sufficiente per essere utili e aiutare chi ha bisogno. Non siamo formati? Pronti a rimetterci in gioco e a fare cose nuove. Ma non lasciateci nel limbo. Non vogliamo chiudere, non sarebbe giusto».