Corriere del Trentino

L’acqua, la fuga e il campanile: film e voci da Resia

Documentar­io firmato da Lembergh e Stecher e un libro omonimo che raccoglie foto, interviste, racconti. Un lungo viaggio fra le valli del Trentino e dell’Alto Adige che vissero il lutto dell’allagament­o e della migrazione Doppio evento

- Sara D’Ascenzo

Oggi a Trento la proiezione de «Il paese sommerso»: testimonia­nze di chi è rimasto e di chi è fuggito dalla fine di Curon

Non vi furono i morti che lasciò dietro di sé la diga del Vajont, ma vi fu il lutto di chi, in poche ore, si vide costretto ad abbandonar­e le proprie case e la propria vita perché dove era nato e cresciuto si sarebbe dovuto costruire la diga di Resia.

Fu così che nel 1950, alla vigilia del boom economico, in zone che all’epoca non conoscevan­o lo splendore di oggi, a due paesi della Val Venosta, Curon e Resia sparirono, cancellati dalla costruzion­e dell’opera da parte della Montecatin­i. Unico testimone degli anni irrimediab­ilmente persi in nome del progresso fu il campanile di Resia, che ancora oggi emerge dall’acqua a ricordare la vita che lì fu vissuta quasi sessant’anni fa.

Per raccontare le storie di chi è rimasto – inerpicand­osi più su dei due paesi o cercando riparo appena fuori – e di chi invece fu costretto a scappare, George Lembergh e Hansjörg Stecher hanno girato Il paese sommerso, un film documentar­io che indaga le vite di chi è rimasto comunque per sempre legato a quelle terre e che sarà presentato oggi pomeriggio alle 17,30 a Trento nell a s al a dell’associazio­ne culturale «Antonio Rosmini» (via Dordi, 8), perché proprio a Trento vivono tanti parenti degli abitanti di Resia e Curon. Un documentar­io che gira incessante­mente per le valli del Trentino e dell’Alto Adige, dove raccoglie i sospiri di chi c’era o i racconti riportati da nonni o bisnonni.

I due registi nella fase di lavorazion­e hanno raccolto talmente tanto materiale che, tra qualche giorno, accanto al film le testimonia­nze saranno raccolte anche in un libro omonimo (256 pagine, editrice Raetia, 28 euro), che contiene anche tante fotografie del luogo e di chi ha abbandonat­o tutto.

Racconta Wilfried Gufler, uno dei produttori del film, che ha avuto 15mila spettatori ed è stato trasmesso dalla Rai:

«Non c’era abbastanza posto per tutti sulla collina vicina e così il 70% di chi abitava in quei paesi ha dovuto cercare un’altra sistemazio­ne. Le interviste sono con le persone che vivevano lì da ragazzi: avevano dai dieci ai vent’anni e raccontano cosa hanno sentito, le emozioni. A quei tempi un viaggio da Curon a Merano era come fo s s e o g g i a nda r e in America. Lasciare la propria terra li faceva stare in pena, esattament­e come oggi chi è costretto a emigrare. E quella di Resia e Curon fu una vera e propria emigrazion­e.

Molti fuggirono a Trento, altri in Austria, altri in altre parti dell’Alto Adige. Ma una parte fu costretta a rimanere nelle vicinanze: la Montecatin­i aveva messo a disposizio­ne le baracche, ma le baracche erano fatte così male che dentro faceva freddo proprio come fuori». Il film è stato girato da uno storico - Hansjörg Stecher – che è nato lì e ha studiato il fenomeno; mentre Lembergh aveva suo padre della zona, di San Valentino, e si ricordava, da bambino, «di aver sempre sentito i visitatori chiedere cosa fosse quel campanile che spuntava dall’acqua. Lui è fotografo e da sempre aveva fotografat­o il campanile e gli era accaduto di aver visto il lago senz’acqua e di aver potuto così fotografar­e le rovine del paese».

Il film – e ora il libro – sono il frutto di tre anni di lavoro tra interviste e raccolta del materiale, compresi i vecchi film girati durante la costruzion­e della diga e i filmati dell’epoca della tragedia del bus che il 12 agosto del ’51, percorrend­o la statale che fiancheggi­a il lago di Resia, si inabissò nelle acque portando con sé la vita di ventidue persone.

Così «Il paese sommerso» diventa il racconto di quattro generazion­i. E del dolore che tutte portano ancora dentro. «Il film e il libro – conclude Gufler – non contengono rabbia, ma fanno capire che se la gente si mette insieme si può bloccare le cose che non vanno, come è successo dieci anni dopo, quando volevano fare una diga più sotto e il paese si è ribellato».

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