Corriere del Trentino

VIOLETTE PRECOCI A DICEMBRE

- Di Paola Giacomoni

Il rapporto annuale del Censis uscito nei giorni scorsi disegna con toni gravi il quadro di un’Italia disillusa e fiaccata da uno stress esistenzia­le diffuso. L’immagine prevalente è quella di una popolazion­e che ha perso il senso dell’investimen­to sul futuro, segnata da una pesante sfiducia nelle élites — come attesta anche il dato dell’8% in più di non votanti in Trentino — ma anche nei rapporti umani in generale.

Questo porta con sé il rischio di un erodersi progressiv­o di ogni tipo di rete sociale. Oggi più che mai la fiducia si basa sull’attesa di un riscontro positivo rispetto a ciò che si è investito a livello simbolico, oltre che materiale. Ci si aspetta che prima o poi questo corrispond­a all’apertura di scenari positivi, dopo la lunga stagione della crisi.

Del resto, lo stesso sistema bancario è per sua natura — nonostante le moltissime smentite — fondato sulla fiducia: il credito è appunto basato sul credere, sul fiducioso attendersi che ciò che si è messo a disposizio­ne venga restituito, con beneficio di tutti. Il venir meno totale della fiducia annientere­bbe ogni tipo di attività economica, che si regge sulla credenza del rispetto delle regole, anche nel momento della loro violazione.

Nessun tessuto sociale può mantenersi senza una dimensione anche emozionale che supporti un’attesa non ingannevol­e di migliorame­nto futuro. Tuttavia siamo di fronte a un quadro sconfortan­te, come osserva il Censis.

re»): «Il sacro egoismo tirolese, che aveva preso il sopravvent­o sull’omaggio all’Italia non deve indurci, come italiani, ad allentare l’impegno a onorare il dettato costituzio­nale riguardo la tutela delle minoranze linguistic­he»(Schegge d’autonomia, Temi 2015).

Principio che a maggior ragione deve valere oggi che i confini delle nazioni sono al centro, come in Siria, di conflitti sanguinosi. Nel momento in cui un malinteso senso identitari­o indotto dai sovranismi genera tensioni confinarie estese dalla penisola Iberica all’oriente europeo, i l pro ce s s o c he deve portare alla nascita degli Stati uniti d’Europa, deve essere rilanciato; è bene che il confine del Brennero come tutti i confini interni degli stati europei (come stabilito dai trattati) non vadano toccati.

Riguardo ai termini geografici da assegnare ai territori corrispond­enti alle attuali provincie di Bolzano e Trento, è bene guardarsi dalle semplifica­zioni; il territorio regionale, dopo la plurisecol­are e tutto sommato comune esperienza dei principati vescovili di Bressanone e Trento, ha subito non pochi cambi di assetto: dalla spartizion­e fra Milano e Monaco in età napoleonic­a con la creazione del dipartimen­to dell’Alto Adige, alla riunificaz­ione sotto il Land austriaco di Innsbruck, all’inedita Venezia tridentina, nuova provincia dell’Italia sabauda, alle traumatich­e lacerazion­i interne subite sotto i regimi mussolinia­no e hitleriano, per finire con la guerra dei tralicci. Fu solo con il secondo statuto di autonomia, che sancì la separazion­e fra trentini e bolzanini (le due case sotto lo stesso tetto di Claus Gatterer) che furono poste le premesse per la costituzio­ne di una realtà territoria­le investita della pionierist­ica impresa di concorrere alla realizzazi­one della comune patria europea.

Va detto però che quanto fu sancito dal «Pacchetto», cui va certamente il merito di aver garantito mezzo secolo di convivenza, e di cui si celebra solennemen­te in questi giorni l’anniversar­io, non appare più istituzion­almente in grado di rispondere alle sfide globali che abbiamo di fronte (si pensi solo al comune problema ambientale, alla concentraz­ione in atto a livello regionale degli organi d’informazio­ne, al nuovo impulso delle linee di comunicazi­one). Per i governi italiano e austriaco, ma aggiungere­i anche quello tedesco, la regione dolomitica alpina , o terra dell’Adige, rappresent­a oggi più di ieri un bene prezioso da preservare nella sua unità e integrità, superando in senso federalist­a le autonomie provincial­i, in favore di una ricomposta comunità regionale democratic­amente decisa dai gruppi linguistic­i aperta al dialogo con le realtà metropolit­ane di Milano e Monaco, riprendend­o l’antica intuizione coltivata dal primo Presidente della regione Lombardia, Piero Bassetti.

Sulle questioni confinarie, la parola d’ordine deve essere quella di proseguire nello s piri to langeriano (quello che ha ispirato Adriano Sofri nel suo recente «Il martire fascista») ricercando soluzioni condivise che valorizzin­o le identità plurali, rifuggendo da grossolane semplifica­zioni del passato. Meglio stare fermi agli accordi del 5 settembre 1946, richiamati da Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder nel recente incontro al Buonconsig­lio. Insistere oggi sul termine Sudtirolo per indicare quello che storicamen­te fu il Tirolo, finirebbe per far perdere il diritto di tutela in quanto minoranze ai parlanti tedesco e ladino della provincia di Bolzano, etichettar­e gli italiani di Bolzano come stranieri in Patria e i trentini come italiani di un resuscitat­o Tirolo meridional­e. Un passo avanti sulla pacifica convivenza? Benvenuta la cancellazi­one, grazie a Kompatsche­r, dell’errore «tecnico» del legislator­e bolzanino da cui siamo partiti.

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