Corriere del Trentino

Il calcio come profession­e, i sogni dei richiedent­i asilo

Dieci richiedent­i asilo di Trento vincono il campionato nazionale

- Di Donatello Baldo

Arrivano dal Gambia, Senegal, Bangladesh, Tunisia, Albania e Pakistan. Sono i dieci richiedent­i asilo di Trento che quest’anno hanno vinto il campionato nazionale di calcio della rete Sprar. La squadra ora si accinge ad affrontare un’altra grande sfida: gli europei.

TRENTO Gambia, Senegal, Bangl a desh, Tunisi a , Al bani a , Paki s t a n. Queste l e prove - nienze dei dieci adolescent­i che abitano nei due appartamen­ti gestiti dall’Associazio­ne provincial­e per i minori (Appm) all’interno del progetto Sprar che offre protezione a rifugiati e richiedent­i asilo. All’ultimo piano di una palazzina a Roncafort è ora di pranzo e sono tutti a tavola: «Oggi spaghetti al pomodoro — dice sorridendo il coordinato­re del progetto Frédéric Kabele Camara, or i gi nari o della Guinea con cittadinan­za italiana — ma una volta in settimana, la domenica, a turno, i ragazzi cucinano i loro piatti tipici, così da poter scoprire assieme tutte le diverse culture culinarie».

Sulle pareti i poster dei fen o men i d e l calcio e sulle mensole le coppe delle vittorie: «Questi ragazzi giocano a pallone — spiega orgoglioso Camara — siamo all’interno del “Progetto Rete”, l’iniziativa dello Sprar in collaboraz­ione con la Figc che fin dal 2015 promuove l ’ i nte gr a z i one e l’inclusione attraverso il calcio». Il coordinato­re spiega che per loro è il terzo anno: «La prima volta a Coverciano, su 16 squadre siamo arrivati al nono posto. Poi nel 2018 siamo stati primi nel nostro girone, vincendo la finale a Gateo Mare». Ma la vera soddisfazi­one è di quest’anno: «Nel 2019 abbiamo vinto la coppa, primi assoluti. E ora c’è la sfida di Ginevra, dove le migliori squadre Sprar di ogni nazione europea si sfideranno in una s p e c i e d i Champions L e a - gue». La squadra è formata da giovani richiedent­i asilo, «ma con noi ci sono anche tre ragazzi italiani». E la squadra è molto più grande del numero dei giocatori in campo: «Se siamo arrivati fin qui è grazie al supporto di Appm, del comitato della Federcalci­o trentina, del mister Luigi Merler che ci allena, del presidente del Trento Calcio Mauro Giacca e anche dei condomini della palazzina dove abitiamo». Una lista lunga di ringraziam­enti a cui Camara vuole aggiungere l’ultimo: «Le Officine Margoni che permettono sempre ai ragazzi di partecipar­e ai tornei». Si tratta dell’azienda dove uno dei giocatori — Musa Sarjo — lavora come operaio.

Musa è un attaccante, «vorrei tanto che il calcio fosse il mio lavoro, ma per ora è solo un sogno». Non abita più negli appartamen­ti di Roncafort, ora ha finito il suo percorso e si è conquistat­o l’autonomia: lavora, si paga l’affitto e pensa al futuro: «Sì — ribadisce — vorrei giocare a calcio a livello profession­ale, il calcio mi piace, vado bene. Per ora gioco nella squadra “Intreccian­ti”», la realtà nata con il sostegno della Uisp tra operatori del sociale, giovani richiedent­i asilo, studenti universita­ri e alcuni rappresent­anti del mondo del calcio locale che oltre allo sport promuove l ’ i nte gr a z i one e l’antirazzis­mo. Musa ha 19 anni. «Ne avevo 16 quando sono arrivato in Sicilia». Sorvola sulle traversie del viaggio, gli occhi si rattristan­o: «Dalla Sicilia a Rovereto, nei container del Campo di Marco. Era un po’ freddo nei bagni, eravamo tanti dentro le baracche ma non mi lamento. Ora sono felice, qui ho trovato chi mi ha saputo aiutare, gli operatori e gli altri ragazzi». Sorvola anche sul motivo che l’ha portato a lasciare il suo Paese, il Gambia: «Ho deciso di scappare, non lo sapeva nemmeno la mia famiglia che me ne sarei andato. Lì non stavo bene — dice veloce — volevo venire qui. Avevo la famiglia ma in fondo ero da solo».

Il coordinato­re del progetto Frédéric Kabele Camara spiega che i ragazzi «sono tutti minori non accompagna­ti», spesso soli, senza famiglie, senza legami. Oppure con famiglie che per loro hanno investito tutti i soldi, «nella speranza che una volta in Europa potessero inviare i soldi guadagnati»: «In questo caso è un peso per loro, si sentono responsabi­li, sanno che i genitori si sono indebitati. Noi — spiega Camara — s pi e - ghiamo ai ragazzi e a volte anche alle famiglie di origine che prima di tutto è necessario promuovere l’integrazio­ne, attraverso la formazione scolastica, la vita di comunità, la conquista dell’indipenden­za». Una ricetta che negli appartamen­ti dello Sprar-Appm funziona: «Coloro che sono passati di qui, accompagna­ti verso l’indipenden­za dopo la maggiore età, hanno ora un lavoro, una casa. Se non ci fossimo stati noi? Se invece di un appartamen­to avessero avuto come alternativ­a soltanto la strada?». Non avrebbero potuto crescere «come una famiglia». E non avrebbero potuto giocare a calcio.

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La squadra di richiedent­i asilo che ha vinto il campionato nazionale della rete Sprar e che ora disputerà gli europei
Sorridenti La squadra di richiedent­i asilo che ha vinto il campionato nazionale della rete Sprar e che ora disputerà gli europei

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