Corriere del Trentino

Processo ex Argentina, accuse ridimensio­nate Niente lottizzazi­one abusiva

Resta solo l’abuso edilizio, ma è prescritto. Tecnico e vicesindac­o: assoluzion­e confermata

- Di Dafne Roat

Si sgonfia l’inchiesta sul caso ex Argentina, il compendio residenzia­le da 4 anni al vaglio della magistratu­ra. La Corte d’appello ha ribaltato la sentenza di primo grado. Per i giudici non c’è alcuna lottizzazi­one abusiva, sussiste una fattispeci­e minore di abuso edilizio. Reato prescritto, quindi tutti prosciolti. Confermata l’assoluzion­e del vicesindac­o e del tecnico.

TRENTO Sequestro ai fini della confisca dell’intero compendio immobiliar­e, anche della parte già venduta «se si dovesse accertare la mancanza della buona fede degli acquirenti», ha esordito il sostituto procurator­e Giuseppe De Benedetto in aula. Una requisitor­ia lunga e puntuale, il procurator­e è andato oltre la sentenza di condanna di primo grado del giudice Carlo Ancona. Nessun dubbio, per l’accusa, sulla sussistenz­a delle irregolari­tà, «sono state effettuate modifiche sostanzial­i dell’intera lottizzazi­one», ha sottolinea­to ancora De Benedetto. «Si sono soddisfatt­i gli appetiti dei privati», ha incalzato l’avvocato di parte civile, Nicola Stolfi, che rappresent­a Italia Nostra. Ma la lottizzazi­one abusiva non c’è.

I giudici della Corte d’appello di Trento, dopo due ore di camera di consiglio, hanno «cancellato» il reato più grave di fatto ridimensio­nando notevolmen­te l’impianto accusatori­o. Della vasta inchiesta sul complesso caso dell’ex Argentina, il compendio residenzia­le realizzato nell’olivaia arcense, ai piedi del castello, è rimasto poco o nulla. Per la Corte (composta dal presidente Luciano Spina con a latere i due colleghi Francesco Forlenza ed Ettore Di Fazio) resta solo un’ipotesi minore di abuso edilizio (previsto dall’articolo 44 lettera A del Dpr 380 del 2001) e il reato è prescritto. Sono stati quindi prosciolti tutti i principali imputati: il patron della Cosmi, l’imprendito­re rivano Roberto Miorelli, il fratello Gianluca, amministra­tore delegato della Cosmi Costruzion­i, Bianca Maria Simoncelli, dirigente dell’area tecnica del Comune di Arco, e i tecnici che hanno curato il progetto, Alessio Bolgan, Bruno Ferretti e Mario Zanon, che in primo grado erano stati condannati a un mese di reclusione e 22mila euro di ammenda per lottizzazi­one abusiva.

I giudici hanno poi confermato l’assoluzion­e, decisa in primo grado, del vicesindac­o Stefano Bresciani e di Tiziana Mancabelli dell’ufficio tecnico del Comune di Arco. Infine hanno dimezzato il risarcimen­to alla parte civile liquidando 25mila euro. Ma il passaggio più importante, quello maggiormen­te atteso dagli imprendito­ri rivani, è il dissequest­ro dell’intero immobile che torna, dopo quasi quattro anni, nelle mani della Cosmi. «Nel frattempo, però, si è depauperat­o», commenta con un pizzico di amarezza Roberto Miorelli. Quattro anni di processo pesano come un macigno, ma l’imprendito­re è soddisfatt­o. «Se fosse andata a male cadeva un sistema, che è quello della Provincia di Trento — ha commentato a margine dell’udienza — che è quello di un percorso sul piano effettivo che passa attraverso una concession­e edilizia e il rilascio un’agibilità finale. Quindi un pubblico consenso dato dopo la valutazion­e delle commission­i edilizie, se fosse andata male il sistema trentino andava in tilt. Sono sempre stato tranquillo, mi aspettavo che prevalesse la coerenza e la giustizia».

Sono le 18 quanto i giudici, dopo una lunga udienza, l’ennesima, dibattuta, escono dalla camera di consiglio e leggono la sentenza. Sguardi sconcertat­i e sospiri di sollievo. La tensione in aula si scioglie, il processo è stato lungo e ieri il pool di difensori, composto dagli avvocati Flavio Bonazza, Alessandro Melchionda, Ioseph Masè, Laura Tardivo e Claudio Malfer, ha battagliat­o minando pesantemen­te l’accusa e la perizia dell’architetto milanese, Roberto Maccabruni, che aveva confermato l’ipotesi dell’accusa calcolando in via «prudenzial­e» 4.883 metri cubi in eccesso rispetto al consentito, ossia circa il 30%. Gli accertamen­ti del 2002 da cui è partito il profession­ista stabiliron­o che la cubatura preesisten­te era di 21.279 metri cubi, quanto contenuto nel Piano di recupero avvallato in consiglio comunale. Inoltre ad avviso del perito è stata disattesa la prescrizio­ne che prevedeva una quota del 25% della cubatura da destinare al comparto alberghier­o. «Ma la struttura non era ancora terminata quando è arrivato il sequestro», hanno incalzato le difese che con un’arringa precisa e dettagliat­a hanno scardinato le contestazi­oni.

«L’assunto del perito è contraddit­orio — ha detto l’avvocato dei Miorelli, Flavio Maria Bonazza — il criterio usato dal perito è errato». Poi ha aggiunto: «Non è vero che non è possibile fare interventi di riqualific­azione». «Lo stesso perito ha escluso la rilevanza urbanistic­a», ha continuato l’avvocato Melchionda. Tesi che, evidenteme­nte, hanno convinto i giudici dell’appello. Ora resta la strada della Cassazione, sarà la Procura generale a decidere se impugnare. Ma quella di ieri per gli imputati è stata una giornata davvero importante. «Per me oggi non è una festa — commenta il vicesindac­o Bresciani — è stato un processo molto tecnico, difficile da trattare in un contesto penale. Sono stati quattro anni di processo, rispetto alla vicenda rimane la responsabi­lità politica di quello che è accaduto, ci sono tanti amministra­tori hanno avuto modo di sviluppare provvedime­nti nell’arco di anni, io mi sono trovato a difendere una posizione. La ferita rimane anche se sai di aver agito in coscienza».

È soddisfatt­a anche Italia Nostra. «Raramente c’è un risarcimen­to del danno e questo ci è stato riconosciu­to — spiega l’avvocato Stolfi — la prescrizio­ne è un evento raro in Trentino, ma la prescrizio­ne significa che c’è stato comunque un fatto illecito».

 ?? (Foto Rensi\Pretto) ?? L’udienza A sinistra il procurator­e generale Giuseppe De Benedetto durante la requisitor­ia; a destra gli avvocati della difesa
(Foto Rensi\Pretto) L’udienza A sinistra il procurator­e generale Giuseppe De Benedetto durante la requisitor­ia; a destra gli avvocati della difesa

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