«Dietro alle piazze di Hong Kong un malcontento di 22 anni»
TRENTO «Nelle proteste di Hong Kong la Cina c’entra fino a un certo punto. Hong Kong è una regione a statuto speciale, che ha un’autonomia riconosciuta, seppur limitata. Sono soprattutto le violenze della polizia di Hong Kong a infiammare le piazze». Così parla Ilaria Maria Sala, giornalista e scrittrice, arrivata a Pechino nel 1989, l’anno degli scontri di piazza Tian’anmen, con un gruppo di studenti occidentali ospiti in una delle due università da cui partirono le proteste. Da allora vive a Hong Kong, dove è presidente del Foreign Correspondent’s Club. Oggi sarà ospite presso la Sala Conferenze della Fondazione Caritro per una conferenza sui parallelismi e le divergenze tra le proteste che oggi scuotono Hong Kong e quelle che portarono a quella fatidica «Primavera democratica cinese» di trent’anni fa.
Che sta succedendo adesso a Hong Kong?
«Siamo entrati nel settimo mese di proteste e il perdurare di questa situazione mostra che non si trattava solo di una scintilla legata alla legge sull’estradizione sull’estradizione di latitanti verso Paesi dove non vi sono accordi di estradizione. Le proteste sono sorte per timori che tale legislazione avrebbe violato la linea di demarcazione tra i sistemi legali/giuridici tra Hong
Kong e la Cina, sottoponendo i residenti di Hong Kong e quelli che passavano per la città alla giurisdizione de facto dei tribunali controllati dal Partito Comunista Cinese».
Cosa ci dicono queste proteste?
«Sono espressione di un malcontento maturato in questi 22 anni sotto la sovranità cinese. Il vero problema di Hong Kong è che c’è una totale mancanza di rappresentazione democratica della popolazione a livello governativo. Da 22 anni ormai Hong Kong chiede democrazia e suffragio universale».
Cosa hanno in comune queste proteste con quelle a Pechino nel 1989?
«Non molto, perché sono passati 30 anni, durante i quali la Cina è cambiata in modo significativo. Inoltre Hong Kong e Pechino sono realtà molto diverse tra loro. Eppure c’è un filo rosso che accomuna questi due eventi storici: sia gli studenti del 1989 sia quelli del 2019 chiedono allo stesso regime di aprirsi alle riforme politiche, democratiche. Lo stesso Paese si trova nuovamente davanti a una generazione di giovani che chiedono il diritto alla partecipazione politica».
Ci sono possibilità che questi studenti ottengano delle riforme concrete?
«Difficile a dirsi. Negli ultimi mesi ci sono state diverse opportunità che il governo avrebbe potuto cogliere, ma questa opportunità è stata dissipata sia dal governo locale di Hong Kong, sia da quello di Pechino. Per esempio, una delle ragioni per cui le proteste si sono intensificate è che la polizia di Hong Kong ha reagito con estrema brutalità sui manifestanti, solitamente abituati a manifestazioni tranquille, senza scontri. Hong Kong ha dimostrato di avere una popolazione con molta autodisciplina, anche nei momenti di tensione politica. La violenza di questi mesi è un fenomeno inedito, l’intera città è rimasta scioccata dalla violenza poliziesca, che ha iniziato a reprimere manifestazioni pacifiche».