Wada e Iaaf non danno le provette Per Schwazer Tokyo si allontana
Il marciatore: «Sogno le Olimpiadi, ma è più importante dimostrare la mia innocenza»
BOLZANO «Non abbiamo la possibilità di fornire i 50 campioni di urina richiesti, perché attualmente sono conservate nei laboratori solo 4 provette, e inoltre non le potremmo comunque consegnare per rispetto della privacy degli atleti». Con questa giustificazione, gli avvocati dell’agenzia mondiale antidoping Wada e della federazione internazionale di atletica World Athletics (fino a poche settimane fa si chiamava Iaaf), hanno risposto ieri negativamente alla richiesta del giudice per le indagini preliminari Walter Pelino di fornire 50 campioni d’urina anonimi, prelevati ad atleti risultati positivi al testosterone, per verificare se l’assunzione di tale sostanza possa causare un’elevata concentrazione di Dna, come riscontrato nella provetta di Schwazer.
Questo accertamento si inserisce nell’indagine in corso a carico di Alex Schwazer, accusato di doping. Non si tratta del primo caso, del 2012 (quello ammesso dallo stesso marciatore) ma di quello successivo, che nasce da un controllo del primo gennaio 2016, in seguito al quale il Tribunale di arbitrato sportivo ha condannato il marciatore altoatesino a una squalifica di 8 anni, che sta attualmente scontando. L’atleta, difeso dall’avvocato Gerhard Brandstätter, ha sempre contestato la validità di questo secondo caso di presunta positività, dichiarandosi vittima di un complotto. Riuscire a dimostrare con certezza che la sua provetta sia stata manomessa non è però affatto facile, anche se sono già emerse nel corso dell’indagine lacune nella catena di custodia delle provette, come evidenziato dal giudice, e atteggiamenti contraddittori da parte di Wada e Iaaf, come denunciato anche ieri dall’avvocato di Schwazer. Per dimostrare la propria innocenza, l’atleta punta infatti il dito sugli anomali valori, altissimi, del Dna contenuto nella provetta. Ora si sta procedendo con una serie di verifiche per cercare di dare una spiegazione a questi valori altissimi: andando per esclusione, si potrebbe arrivare a dimostrare che l’unica spiegazione logicamente plausibile è quella della manipolazione della provetta.
La Wada e la World Athletics si sono rifiutate ieri di fornire i campioni di atleti dopati, come era stato richiesto dal giudice Pelino per poter effettuare un confronto. Il gip ha quindi rinviato al 22 luglio l’udienza. Fino a quella data verranno effettuate altre verifiche, ad iniziare da quella resa possibile dalla federazione italiana Fidal, che ha fornito un elenco di oltre 50 atleti volontari, per sottoporli a prelievi proprio per verificare i livelli di concentrazione del Dna. L’esame sarà eseguito dai Ris di Parma che avranno anche il compito di fare una nuova analisi sulle provette di
Schwazer. Questi accertamenti comportano tempi tecnici lunghi, che quindi inevitabilmente compromettono la possibilità di Schwazer di poter vedere dimostrata entro luglio la propria innocenza, e quindi di chiedere un annullamento della squalifica e poter partecipare alle prossime Olimpiadi, che si svolgeranno a Tokyo la prossima estate.
«Io mi sto allenando — ha dichiarato ieri Schwazer al termine dell’udienza — mi sono allenato anche questa mattina prima di venire in tribunale. Io ci credo ancora, spero di poter partecipare alle Olimpiadi, ma comunque non è un’ossessione, non lo è mai stata. Per me è molto più importante poter dimostrare la mia innocenza in tribunale». A chi gli chiede un commento sull’esclusione della Russia dalle competizioni per quattro anni, Schwazer risponde: «Non c’è solo la Russia, ci sono tanti altri casi di doping in altre nazioni». Intanto Schwazer si allena, e l’avvocato Brandstätter è il suo primo tifoso: «Sta facendo degli ottimi tempi in allenamento. Non credo che attualmente ci siano atleti in grado di batterlo».