«Ragazzi, ribellatevi alle ingiustizie»
Aida e Dario Foà, una coppia di ebrei scampata ai lager «Con la mia famiglia andai in Svizzera e subii anche abusi Tocca a voi giovani ricordare e difenderci da chi vuole dividere»
«Ribellatevi alle ingiustizie». Aida e Dario Foà, la coppia di ebrei scampata al lager, ha raccontato ai ragazzi delle scuole di Aldeno la loro vita e gli abusi. «Difendeteci da chi vuole dividere».
TRENTO «Ricordatevi di essere buoni anche con chi è diverso da voi. E se qualcuno dovesse ancora pretendere che chi è diverso non può più andare a scuola, non può lavorare, deve stare separato dagli altri: ribellatevi». Aida e Dario Foà — entrambi vicini ai 90 anni, entrambi ebrei e scampati alle deportazioni nei lager tedeschi — chiedono questo ai ragazzi delle scuole secondarie di primo grado di Aldeno che ieri hanno assiepato il teatro per ascoltare le loro testimonianza: «Dovete ribellarvi e dire no, e per questo vi diciamo grazie fin da adesso per quello che farete».
L’incontro, per celebrare la Giornata della memoria, è stato organizzato in collaborazione con la Biblioteca e con l’associazione trentina Italia-Israele. I due anziani, marito e moglie, hanno raccontato agli studenti la loro vita negli anni delle leggi razziali, quando gli ebrei italiani venivano considerati «razza inferiore», quando molti venivano spediti ad Auschwitz: «Avevo sette anni — racconta Aida ai ragazzi — quando mio padre venne licenziato dalla banca in cui lavorava perché era ebreo. Ci aiutò un angelo, un signore che ci ospitò a casa sua, che ci aiutò a trasferirci da Parma a Bologna, che ci mise in contatto con chi ci avrebbe fatto passare il confine della Svizzera per metterci in salvo».
La donna ricorda la paura «di essere scoperti, di essere arrestati»: «Non c’era la televisione, non si capiva bene quello che stava succedendo. E poi ero piccola, ma ricordo che i miei genitori erano preoccupati perché arrivavano notizie di ebrei ammazzati, intere famiglie annegate con un sasso al collo e gettate in acqua dai fascisti». La donna ricorda anche la traversata delle Alpi per raggiungere la Svizzera: «Di notte, accompagnati da due “spalloni” che dovettero portare in braccio mio padre a cui si erano congelati i piedi». All’arrivo il padre fu operato dalla cancrena, la mamma assistita perché incinta, e la piccola Aida ospitata in un campo profughi, da sola: «Lì c’erano tante persone che ci volevano bene, ma lì ho incontrato anche un ufficiale italiano con le mani lunghe, che mi faceva certe carezze che non avrebbe dovuto farmi».
La donna anziana, con delicatezza, racconta anche degli abusi subiti. «Appena arrivata ma anche dopo, quando a Zurigo ero stata assunta, ancora bambina, in un negozio che vendeva caramelle. Con altri bambini dormivo in una dependance e tutte le sere arrivava il proprietario a darci la buonanotte, allungando le mani su noi bambine di nemmeno dieci anni»: «Sono passati tanti anni — afferma Aida — e le cose brutte si lasciano alle spalle. Ma si ricordano, come si deve ricordare che per poco non finivamo nei campi di concentramento, se non fosse stato per quell’uomo, l’angelo che ci ha ospitati e ci ha permesso di fuggire in Svizzera».
Anche il marito Dario ha la sua storia. Viveva a Napoli, anche lui un bambino quando il fascismo adottò le leggi razziali: «Il mio nome, quello della mia famiglia, di mio nonno rabbino e di tanti altri ebrei napoletani era sulle liste per la deportazione. Scampammo dai lager nazisti perché Napoli insorse contro i nazifascisti e i piani di deportazione non poterono essere attuati». Questo nel 1943, ma prima la vita degli ebrei era segnata dallo stigma e dalla segregazione: «Era il 5 settembre del 1938 quando venne emanata la prima legge contro gli ebrei, e tante altre ne seguirono. Non potevamo più insegnare in una scuola, non potevamo iscriverci a una associazione, essere dipendenti pubblici e tanti altri divieti. Noi bambini non potevamo più andare a scuola con gli altri bambini, se non in sezioni speciali di soli ebrei». E a distanza di 80 anni un ricordo che ancora lo commuove: «Avevo chiesto a un gruppo di ragazzini se potevo giocare con loro a calcio, ma mi risposto di no: “Nostro padre ci ha detto che con gli ebrei non possiamo più giocare”, mi disse uno di loro». E un altro ricordo: «Quando andavamo al cinema, durante il sabato fascista, noi eravamo messi in fondo e tra noi e i bambini “ariani” venivano lasciate libere due file, per separarci, soltanto perché eravamo ebrei».
I due anziani, dopo aver risposto alle domande dei ragazzi delle scuole medie, interessati a quegli anni difficili, hanno esortato al dovere del ricordo: «Tocca a voi ricordare, tocca a voi difenderci da chi vuole ancora separare e dividere. I bambini che anche oggi vengono da lontano perché scappano dalla guerra e dalla violenza sono come voi, sono uguali a voi anche se hanno la pella diversa, una religione diversa. Siamo tutti uguali, non dimenticatelo mai».
Immigrati
Il confronto alle scuole di Aldeno. «I bambini che oggi vengono da lontano sono come voi»