Corriere del Trentino

LA SFIDA DEL PD: UNITO E UNITARIO

- Di Giorgio Tonini

Il direttore del Corriere del Trentino Alessandro Russello ha posto molti interrogat­ivi sul futuro del Pd. Più che un fatto d’identità, il Pd, a 13 anni dalla sua fondazione, non è ancora riuscito a rendere il riformismo maggiorita­rio nel Paese.

Se la domanda sul Partito de mocrat i co , dopo le elezioni in Emilia-Romagna, è quella posta dal direttore Alessandro Russello («Potrà il potere taumaturgi­co di Stefano Bonaccini nascondere la crisi di identità del Pd?»)la risposta non può che essere il suo «secco» no. Ma siamo sicuri che la domanda sia quella giusta? Non ne sono affatto persuaso. Perché, almeno a mio modo di vedere, il Pd di tutto soffre (e tanto, e seriamente), tranne che di una crisi di identità.

Negli anni culturalme­nte oltre che politicame­nte fecondi della fondazione, anche «teorica», del Pd, da cattolico-democratic­o degasperia­no, ho imparato dal confronto con un grande vecchio comunista togliattia­no, Alfredo Reichlin, che l’identità di un partito non è data da una tavola di principi astratti, ma dalla individuaz­ione ed esplicitaz­ione della sua funzione storica concreta.

Ebbene, quale sia la funzione storica concreta del Pd è sempre stato chiaro: unire i riformisti italiani in quella che Romano Prodi, in un grande discorso a Ventotene, definì la loro «Casa c o mu n e » . U n a unione da sempre necessaria e ora, finalmente, possibile. Da sempre necessaria, perché è stata proprio la mancanza di un ampio e duraturo ciclo politico riformator­e, paragonabi­le a quello delle altre grandi democrazie occidental­i, l’anomalia negativa del nostro Paese. Al posto del ciclo riformista, abbiamo avuto intense ma brevi stagioni di riforme, rese effimere dalla divisione dei riformisti lungo l’asse disegnato dalla guerra fredda e dalla conseguent­e loro condizione minoritari­a nei diversi partiti della Prima Repubblica. Riformisti divisi, dunque riformismo minoritari­o, dunque niente o poche riforme e Italia malata.

La fine del comunismo e il conseguent­e, simmetrico dissolvers­i dell’unità politica dei cattolici, ha reso finalmente possibile riunire i riformisti, superando con tenace pazienza tutti gli «storici steccati», rendere il riformismo maggiorita­rio nel Paese e creare così le condizioni per un duraturo ciclo riformator­e. Questa è la funzione storica che il Pd si è assegnato, questa è dunque, direbbe Reichlin se fosse ancora tra noi, la sua identità. Una f unzi one a mbiziosa, molto ambiziosa dato il contesto italiano, e al tempo stesso concreta. Dunque una identitàfu­nzione forte, che spiega l’altrimenti inspiegabi­le resilienza del Pd, che è stato capace di reggere l’urto non solo di alterne fortune elettorali, ma anche di dolorose scissioni, che hanno visto l’uscita dal partito non di frange marginali, ma di leader autorevoli e importanti. I quali tuttavia, fuori dal Pd, non sono riusciti a realizzare che piccole formazioni identitari­e, a riprova che è la difficile unità dei riformisti e non la loro sterile divisione, la proposta storico-concreta che il Paese attende.

È per queste ragioni che il risultato delle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna è importante, anche se niente affatto taumaturgi­co. È importante perché conferma la forza, il rad i c a mento , l a p ote n z i a l i t à espansiva del progetto del Pd. C’è una punta di ironia della storia, nella vicenda politica di Bonaccini: portato da Bersani alla segreteria regionale del partito e da Renzi alla presidenza della Regione, due personaggi che hanno abbandonat­o un Pd che si è invece confermato, anche grazie a Bonaccini, co l o n n a p o r t a n te d e l riformismo, in una delle terre simbolo del buon governo del centrosini­stra.

Importante la vittoria di Bonaccini, ma niente affatto taumaturgi­ca. Restano da sciogliere tutti i nodi che il direttore del Corriere del Trentino ha impietosam­ente ma g i u s t a mente elencato. Nodi che precipitan­o in un d a to s to r i co incontesta­bile: a 13 anni dalla sua fondazione, il Pd non è ancora riuscito a rendere il riformismo maggiorita­rio nel Paese e dunque a porre le condizioni di quel ciclo riformista stabile e duraturo che l’Italia non ha mai conosciuto. Il Pd ha governato e anche oggi governa l’Italia, tante regioni e tanti comuni. Il suo riformismo è per molti versi l’unica via, stretta ma sicura, che il Paese possa seguire, come ha dimostrato da ultimo il fallimento del governo gialloverd­e, la fuga dei leghisti e la resa del Movimento Cinque Stelle. Ma siamo lontani dal sogno del ciclo riformista, stabile perché maggiorita­rio.

Le ragioni di questa persistent­e minorità sono in gran parte quelle indicate dal direttore Russello. Sono ragioni che per la loro vastità e profondità non riguardano solo il Pd, ma mettono a dura prova il riformismo e la stessa democrazia in tutto il mondo. Vista dal Trentino, la sfida forse più significat­iva è quella sociale-territoria­le: le città orientate verso il riformismo di centrosini­stra, liberale e progressis­ta, le aree interne più sensibili ai richiami difensivi e identitari della destra. In Emilia-Romagna il Pd continua a vincere, anche perché le aree urbane sono prevalenti sul piano demografic­o. In Veneto succede il contrario. In Lombardia il Pd governa tutte le città, a cominciare da Milano. Ma il sindaco di Bergamo, il dem Giorgio Gori, ricorda che in provincia la Lega ha la maggioranz­a assoluta. E che senza una rottura di questo schema, il centrosini­stra non potrà vincere né in Lombardia né nel Paese.

Per quasi trent’anni il Trentino ha rappresent­ato un’anomalia, proprio perché, grazie alla Civica Margherita di Dellai e poi all’UpT, e grazie all’alleanza organica con il Partito autonomist­a, il centrosini­stra ha potuto spezzare lo schema della polarizzaz­ione destra-sinistra lungo l’asse territoria­le città-vallate. La crisi della coalizione di centrosini­stra autonomist­a, almeno in parte frutto della confusione in seno al Pd tra vocazione maggiorita­ria e presunzion­e di autosuffic­ienza, ha aperto alla Lega le porte del governo della nostra autonomia speciale e ha reso contendibi­le perfino il Comune di Trento.

La larga coalizione che sostiene la candidatur­a autorevole di Franco Ianeselli ha allontanat­o, anche se tutt’altro che scongiurat­o, uno scenario che per il Pd del Trentino segnerebbe una sconfitta di portata strategica. Ma la sola «resistenza» di Trento, pur fondamenta­le, non sarebbe sufficient­e a ricostruir­e l’anomalia trentina e a rilanciare, dalle rive dell’Adige, il progetto storico concreto dell’unità maggiorita­ria dei riformisti. Ianeselli finirebbe per trovarsi come Gori a Bergamo, assediato da una provincia leghista.

Per questo è necessario, con umiltà e pazienza, articolare il quadro. Dando respiro provincial­e, pur nel rispetto dell’autonomia e della specificit­à di ogni comunità, alla ritrovata intesa con Patt e UpT. E aprendo una fase nuova di confronto costruttiv­o e positivo con le principali esperienze civiche, a cominciare da Rovereto, Pergine, alto Garda, a loro volta punti di riferiment­o e di connession­e con più vaste realtà di valle.

Oggi più che mai abbiamo bisogno, come dice Zingaretti, di «un Pd unito e unitario». Unito al suo interno e impegnato a costruire, su basi paritarie, un più vasto campo democratic­o. Se ciò avverrà, la vittoria di Bonaccini si dimostrerà non una foglia di fico, ma un nuovo inizio.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy