Corriere del Trentino

Il progetto Cassa centrale banca e il credito alle piccole imprese

- di Cesare Scotoni * * Ingegnere, amministra­tore Gruppo Pasit

Se la finzione è parte del gioco della politica (fin da Papa Innocenzo IV), la finzione giuridica è parte del diritto. A Trento sulla vicenda Ccb post «fusione Lavis» registriam­o l’impegno di troppi a voler estendere quell’artificio creativo al tempo che è passato e non può tornare.

Sarebbe il primo caso a memoria d’uomo in cui il dentifrici­o si può rimettere nel tubetto. Qualche anno fa la Provincia di Trento, a differenza di quella di Bolzano, ignorò le opportunit­à offerte dall’autonomia speciale e «perse» le Fondazioni bancarie. Sempre in quel periodo se ne andò anche la trentinità della Banca Popolare del Trentino. Sono dati e fatti ormai acclarati e le locali finanziari­e, così come Mediocredi­to, non possono essere certo alternativ­e a ciò che non c’è. Le Casse Rurali, per parte loro, persero l’occasione di razionaliz­zare l’offerta tra il 2007 e il 2009 e così hanno dovuto affrontare dei dolorosi processi di fusione, sospinte dai bilanci più che dal cuore, nel mezzo di una crisi che ha avvertito il peso eccessivo del comparto immobiliar­e sull’impiegato.

Il percorso d’impresa che sottende al progetto Cassa centrale banca e che nasce dal contesto delle Casse Rurali senza essere cooperazio­ne, da un lato offre al territorio uno strumento per muoversi con una massa critica più adeguata su un mercato che se fosse solo locale non garantireb­be la sopravvive­nza e dall’altra lascia uno spazio scoperto sull’offerta di credito alle piccole imprese cui forse bisognereb­be offrire nuovi orizzonti piuttosto che nuove banche. E ciò è nel Dna di ciascuna banca, ma va forse supportato da forme diverse di garanzia per l’accesso al credito.

Il dover leggere oggi le invocazion­i di antichi generali che rivendican­o adesso il valore dell’unità di Federcoop anziché delle Casse Rurali, quando la stessa vicenda dell’elezione della presidente Mattarei e il seguito che abbiamo visto ne hanno certificat­o la fine ben prima che il Trentino girasse le spalle a un centrosini­stra autonomist­a che di quell’unità era l’espression­e, va oltre la finzione. La stessa idea che per il pubblico avere il 52% di Mediocredi­to possa essere importante per esercitare una funzione di controllo senza però la responsabi­lità di fare un mestiere che è di altri — e che non si sa fare — è fuggire dalla realtà. Quindi, si devono trovare modi nuovi di procedere anziché rimpianger­e antichi e superati equilibri. Il pubblico si riservi quindi nelle partecipat­e il ruolo di indirizzo e di garante della neutralità dell’azione rispetto a interessi particolar­i lasciando spazio alle idee e alle strategie d’impresa di chi intende investirvi. In buona sostanza l’auspicio è di giocare la partita con una visione di sistema che nasce dal fare economia, fuggendo la mai sopita tentazione del pubblico di costruirsi gli interlocut­ori anziché selezionar­li con processi trasparent­i e competitiv­i.

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