«Il turismo invernale va ripensato»
Il docente universitario e divulgatore canadese a Borgo Valsugana «Le Dolomiti vivono per il turismo, ma devono riprogrammare»
«Le stagioni invernali saranno sempre più brevi, lo sviluppo va ripensato». Così Edward Struzik, esperto di cambiamenti climatici, in Trentino a marzo.
TRENTO «Le Dolomiti vivono molto per il turismo, soprattutto invernale. Ma i cambiamenti climatici stanno già modificando le stagioni che saranno sempre più brevi. Il Trentino-Alto Adige ha un’occasione per ripensare il suo sviluppo e programmare diversamente la sostenibilità. Il tempo gioca ancora a suo favore. È essenziale per proteggere la comunità nel futuro». Scrittore, conferenziere e docente alla Queen’s University di Kingston (Canada), Edward Struzik ha circumnavigato il globo inseguendo gli effetti che il global warming ha seminato con identica precisione e tratti apocalittici nel pianeta. A partire dal fenomeno degli incendi che ha indagato nel suo ultimo libro «Firestorm. How wildfire will shape our future» o dall’innalzamento delle temperature che hanno sciolto i ghiacci nel polo Artico. Il 20 marzo sarà a Borgo Valsugana — auditorium del Polo scolastico (ore 17.30) — per una conferenza pubblica insieme a Michele Andreaus (professore ordinario di Economia aziendale all’università di Trento) intitolata «The real effects of climate change».
Professor Struzik, lei ha dedicato i suoi ultimi studi all’emergenza incendi nel pianeta. Da Fort McMurray, in Canada, nel 2016 quando 88.000 persone furono costrette a lasciare le loro case al più recente caso australiano. Come si generano e quali sono le prospettive?
«Gli incendi sono un fenomeno di grande rilievo che condizionerà le nostre vite in futuro. Non siamo ancora preparati. Questi incendi sono provocati per un terzo da cause naturali e per due terzi dall’uomo, in modo doloso o accidentale. È evidente che i cambiamenti climatici incidono poi sulla propagazione del fuoco. Nel 2015, in Alaska, si materializzò un temporale senza pioggia con un andamento molto lento: in cinque giorni scaricò 62.000 fulmini che innescarono 86 incendi. Non si valuta fino in fondo l’enorme impatto che hanno».
Ossia?
«Nel caso degli incendi che hanno colpito a più riprese la California (2012, 2017 e 2019, ndr), le autorità hanno poi creato un fondo multimiliardario per ricostruire tutto. Un costo che poi si scarica sui cittadini attraverso l’incremento delle tasse, dell’accise sulla benzina, dei beni di consumo. Gli incendi hanno poi disarticolato in molti casi il turismo di montagna. Nessuno vuole compiere un trekking in una foresta colpita da un incendio o trovarsi in una situazione di potenziale pericolo. Il danno è enorme e a patire non è solo l’ecosistema».
Cosa manca, dunque?
«La prevenzione. Quello che è accaduto in Australia è una lezione per il mondo. Alle perdite umane e all’ecatombe di animali, si aggiungono l’economia, l’industria, i sistemi di comunicazione, le linee aree deviate…».
Nel suo libro parla anche degli effetti devastanti del fumo prodotto dagli incendi.
«Quello generato dai roghi australiani ha raggiunto la Patagonia, talvolta compie il giro del mondo più volte, producendo inquinamento atmosferico. Il fumo contiene monossido di carbonio che si deposita sul terreno con risultati simili alla cera. Viene poi trasportato dall’acqua nei fiumi e nei laghi. Qualche anno fa una pioggia nera cadde sulle cascate di Cameron, in Alberta, annerendo le sue acque. Inqui
Incendi Sono un fenomeno di grande rilievo che influenzerà la nostra vita in futuro
nò le falde acquifere e produsse un disastro ambientale che richiese un investimento milionario per realizzare un impianto di depurazione. A Camberra l’acqua non era più potabile. Gli esempi che ho fatto riguardano tutti Paesi ricchi, ma quando un episodio simile accade in qualche Paese con minori possibilità economiche per reagire il fenomeno diventa ingestibile e il danno permanente».
Che cosa suggerisce per contrastare queste situazioni?
«È necessario investire sulla prevenzione e sulla programmazione. Bisogna avere buoni piani di evacuazione, alternative pronte quando si chiudono le scuole, sistemi di protezione civile efficaci e avanzati. Poi ci vuole una maggiore accortezza nelle regole di costruzione. Non conosco la situazione nelle Dolomiti, ma in Svizzera e Nord America si consente l’edificazione di case di legno nel bosco, spesso vicino ad alberi a rapida combustione come il ginepro. È diventato troppo pericoloso. Inoltre la foresta deve rinnovarsi, favorire la diversificazione degli alberi. Spesso si tollera un’alta concentrazione di alberi vecchi, anche per ragioni turistiche, che sono pericolosi e più facilmente infiammabili».
In Trentino-Alto Adige la tempesta Vaia ha causato la distruzione di vaste aree boschive: 20.000 ettari e 3,4 milioni di metri cubi di legname caduto a terra in Trentino; l’1,7% della superficie forestale e 1,5 milioni di metri cubi di legname in Alto Adige. Uno dei tanti aspetti del cambiamento climatico?
«Sì, il cambiamento climatico ha aumentato la potenza e la velocità dei venti. Gli uragani nei Caraibi sono sempre più frequenti e di intensità crescente ogni anno. Non è inconsueto che simili fenomeni interessino ampie aree di foreste».
L’assenza di alberi ha anche privato alcune zone di una naturale barriera contro le valanghe nei periodi invernali.
«Accade anche in Sierra Nevada con un rischio doppio: oltre alle valanghe, lo scioglimento delle neve determina un rilascio di acqua che non può essere assorbito per la mancanza di piante. Possono generare allagamenti o rendere non più potabile l’acqua, portando nei bacini acquiferi molto materiale di scarto».
Sul tema dei cambiamenti climatici la politica si muove lentamente o è ferma. Abbiamo visto l’esito della Conferenza di Madrid con il presidente americano Trump che è tra i più renitenti. Perché?
«Non sono così pessimista e credo che i media indugino eccessivamente su coloro che si oppongono ad aprire un nuovo ciclo. Certo se seguissimo Trump il futuro non sarebbe roseo, ma nel mondo economico osservo anche una volontà di cambiamento. La questione è ambientale ma anche economica: dimostrare che riconvertire le produzioni può generare business. Negli anni Ottanta la Gran Bretagna inquinava con le sue industrie le foreste della Scandinavia stimolando la pioggia acida. Furono alcuni leader conservatori, tra cui Ronald Reagan e Margaret Thatcher, a risolvere il problema spingendo l’industria a migliorarsi. Nei prossimi dieci anni il sistema produttivo potrà evolvere in meglio».
Cosa ne pensa della nuova icona generazionale, Greta Thunberg?
«È una figura molto positiva, rappresenta la mentalità delle nuove generazioni che, a differenza della mia, non danno per scontato il mondo ma pongono il tema del limite e del suo rispetto. Ho due figli e mi parlano di sostituire il trasporto pubblico all’auto e di porre un freno al consumo».
Che consiglio darebbe al Trentino-Alto Adige, una terra di montagna con un equilibrio naturalistico e paesaggistico molto delicato?
«Credo che le Dolomiti vivano intensamente per il turismo, soprattutto invernale. Non si ha però piena coscienza che questi luoghi potranno essere danneggiati dai cambiamenti climatici. Siamo vulnerabili e dobbiamo accettare che quello che sta accadendo in California, Australia o in Groenlandia — colpita per due anni consecutivi da incendi, qualcuno lo avrebbe mai detto? — sarà la norma. Il vantaggio del vostro territorio è che avete tempo per programmare e organizzare una pianificazione efficace delle politiche ambientali. Bisogna proteggere la comunità».
Esiste una relazione tra disuguaglianza sociale e cambiamento climatico?
«Certamente. Il cambiamento climatico può avere due effetti: livellare la società o incrementare le divisioni tra abbienti e indigenti che abbiamo registrato negli ultimi anni in cui la media borghesia si è liquefatta. L’accesso all’energia alternativa o rinnovabile — solare, eolica, auto elettriche, eccetera — potrebbe nello stesso tempo ridurre il divario tra ricchi e poveri e contenere l’inquinamento. Purtroppo negli Stati Uniti, e non sono un caso isolato, si prosegue nel sostegno ai combustibili fossili. Mio padre era un minatore, conosco anche le patologie legate a questi lavori. Dovremmo avere più coraggio nello sviluppare le energie alternative».
Si pone però anche un tema legato all’occupazione e alle alternative…
«Non lo sottovaluto. Non è un passaggio immediato, ma molte industrie si stanno convertendo verso le energie alternative e questi percorsi vanno incentivati. Il futuro non è il petrolio».
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Divari L’accesso all’energia alternativa deve servire anche a ridurre le disuguaglianze