Il caso Tolkien
L’Università di Trento al centro di studi internazionali sull’autore Per Wu Ming 4: «Sguardo nuovo e inedito, una rilettura dell’opera»
Convegni internazionali, laboratori di scrittura e adesso una nuova rivista specializzata: l’Università di Trento è sempre di più il centro degli studi su Tolkien in Italia. Il Trentino un’ideale «Terra di Mezzo». Dopo aver organizzato e ospitato il convegno internazionale nel 2015, dedicato alle opere minori di Tolkien, uno nel 2017 sui rapporti tra Tolkien e la letteratura dell’Otto-Novecento, il dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Ateneo pensa già a un nuovo grande evento per il 2021.
«Una riflessione su Tolkien e la traduzione: sul Tolkien tradotto, ma anche su di lui traduttore», rivela Fulvio Ferrari, docente di Filologia germanica e già direttore del dipartimento.
Nell’attesa, un gruppo di docenti del dipartimento, tra cui Ferrari, ha collaborato alla nascita della nuova rivista di studi tolkieniani, I Quaderni di
Arda, promossa dall’Associazione italiana studi tolkieniani. Il primo numero raccoglie proprio gli atti del convegno di Trento del 2017.
Caporedattore della rivista è lo scrittore Wu Ming 4, pseudonimo di Federico Guglielmi, del collettivo letterario Wu Ming, profondo conoscitore del mondo tolkieniano. Già a fine 2018 all’Università di Trento aveva tenuto un laboratorio di analisi e scrittura su «Lo Hobbit».
Guglielmi, ha affermato che nel 2010-2020 è iniziata la nuova era degli studi su Tolkien in Italia, anche grazie al contributo dell’università di Trento. Quali sono gli obiettivi della rivista?
«Con la rivista voglio creare un luogo di aggregazione per gli studiosi italiani di Tolkien e del fantastico, invitandoli a fare squadra, incontrarsi e dibattere, seminando il terreno per le prossime generazioni».
Gli elementi più importanti che emergono dal primo numero della rivista?
«Per la prima volta in Italia, un gruppo di accademici, quelli dell’Università di Trento, ha raccontato un Tolkien diverso dalla vulgata: invece di parlare soltanto delle fonti letterarie dell’opera, si è messa l’opera stessa in dialogo con quella dei grandi autori coevi. Si è narrato Tolkien come un figlio letterario del suo tempo anziché come un eremita in fuga dal mondo».
Gli aspetti più interessanti dell’opera di Tolkien ancora da indagare?
«Un prezioso “case study” per la critica letteraria, più unico che raro, riguarda la produzione postuma di John Ronald Reuel Tolkien, ossia le opere curate e pubblicate dopo la sua morte (1973, ndr) dal figlio Christopher, scomparso il 15 gennaio scorso. Tra di esse, la più celebre è senz’altro Il Silmarillion.
Esiste dunque una sorta di “secondo Tolkien”, molto più prolifico del primo, nato dalle scelte editoriali di Christopher e la cui immagine è mutata a mano a mano che gli inediti venivano pubblicati».
Quali sono le differenze più rilevanti tra «il primo» e «il secondo» Tolkien?
«La differenza più evidente è che il “primo Tolkien” è un autore che ha pubblicato due romanzi, quattro racconti e una raccolta di poesie nell’arco di un trentennio: un professore di filologia con l’hobby della narrativa. Il “secondo Tolkien”, invece, è uno scrittore prolifico che negli ultimi 40 anni non ha mai smesso di pubblicare. Il “primo Tolkien” è un classico del Novecento. Il “secondo” è un autore ancora attivo nel XXI secolo, più sfaccettato, ricco e poliedrico di quanto lo sia stato in vita. La critica finora si è concentrata ancora troppo poco su questo immenso lavoro co-autoriale di Christopher Tolkien. Ora che non c’è più, forse si potrà affrontare l’argomento in modo disinibito. La storia dei due Tolkien, padre e figlio, è quella di un’impresa narrativa, due generazioni e due secoli, va a ridefinire sia l’immagine e il giudizio sull’autore, sia il concetto stesso di autorialità, portandoci ad affermare che John Ronald Reuel Tolkien è, per certi versi, un autore collettivo».