«Misure giuste Scienza divisa, un problema»
Massimo Pizzato, professore associato del Dipartimento di Biologia cellulare dell’Università di Trento e virologo del Cibio — che nel 2015 ha scoperto la proteina antiHiv — non intende né rassicurare né allarmare: «Mi limito a dire le cose come stanno, altrimenti alla scienza non crede più nessuno».
E allora come stanno le cose? Perché c’è chi descrive il coronavirus come la nuova peste che infetterà tutti e chi lo declassa a un’influenza nemmeno tanto aggressiva.
«C’è anche una via di mezzo tra questi estremi. Sicuramente non è un virus con una letalità elevata, però a differenza dell’influenza causa polmoniti come effetto primario, colpendo una fascia di popolazione che per età o per altre problematiche di salute è più sensibile. E a differenza dell’influenza, per questo virus non c’è vaccino: da qui le misure di contenimento, anche per evitare il collasso del sistema sanitario, perché il 5% dei casi finisce in rianimazione».
Il contenimento, quindi, è necessario. E le misure messe in atto in Italia e in Trentino sono corrette?
«Sono corrette e ci volevano, il problema è spiegarle senza allarmare le persone. Sono necessarie non perché altrimenti moriremo tutti, ma perché a tutti va garantita un’assistenza sanitaria adeguata. Più aumentano i contagi, più aumentano i ricoveri per i soggetti a rischio».
E più aumentano i contagi più aumenta la percentuale dei decessi.
«Sulla mortalità andrebbe fatto un ragionamento a parte. Oggi la percentuale rispetto ai contagi è elevata, ma semplicemente per il fatto che ci sono molti casi asintomatici o lievi che non vengono nemmeno registrati. Alla fine, la mortalità sarà valutata molto più bassa di quello che si rileva ora».
C’è però il rischio che il virus muti. Potrebbe mutare diventando ancor più virulento?
«Sì, il virus muta. Ma non muta diventando più letale, semmai si attenua. Questa cosa va spiegata bene: il virus è un parassita che ha bisogno di essere trasportato da un corpo in modo efficiente. Una volta che muore il corpo muore anche il virus, mentre il suo interesse è propagarsi».
Il Trentino riapre le scuole domani, Emilia, Veneto e Lombardia no. Chi ha ragione?
«Non sono un epidemiologo, ma sulla necessità di chiudere le scuole locali ho qualche dubbio. È invece diverso per le università dove sono molti gli studenti di diverse regioni e di diverse nazionalità».
Nella prima ordinanza provinciale era indicata la distanza dei due metri, ora un metro.
«Ma che differenza fa uno o due metri? Questo virus viaggia da solo, viene trasmesso dalle goccioline che si espellono con tosse e starnuti. Per evitare il contagio basta una distanza ragionevole da evitarle e basta seguire le indicazioni igieniche che ormai tutti conoscono».
Certo che la comunità scientifica in questi giorni ha detto tutto e il contrario di tutto. C’è chi banalizza, che invece allarma.
«Questo è molto grave, purtroppo, non sarebbe dovuto succedere. Anche se capisco che per contrastare l’allarmismo qualcuno abbia potuto tendere a ridimensionare la situazione. Ma è sbagliato liquidare tutto come una semplice influenza».
Anche il suo laboratorio sta facendo ricerca sul Covid-19?
«Certo, stiamo lavorando per identificare una molecola che possa bloccare l’entrata del virus nelle cellule, perlomeno ritardandola per dare la possibilità al corpo di creare anticorpi. E come in tutto il mondo, cerchiamo di contribuire alla definizione di un vaccino. Ma la paura è che passata l’emergenza poi si dimentichino di finanziare la ricerca».