«Vicino@te», la piattaforma per i familiari
Disegni dei nipoti sistemati delicatamente accanto ai letti e ora una piattaforma per comunicare con i parenti. Giovanni Pedrotti, primario di rianimazione a Rovereto, spiega l’impegno quotidiano. Clinico ma anche umano.
TRENTO Hanno accolto i primi pazienti gravi, quelli che necessitavano terapie maggiormente invasive. Intubati, sedati, proni per favorire l’ossigenazione polmonare. Oggi la terapia intensiva di Rovereto ha quadruplicato la capacità dei posti letto(e gli sforzi). Giovanni Pedrotti, primario di anestesia e rianimazione all’Ospedale S. Maria del Carmine di Rovereto, ribadisce i numeri della sua struttura. Ma lo sforzo clinico si accompagna con quello umano. Proprio da loro, dai medici e dagli infermieri che portano disegni di figli e nipoti e li posano con dolcezza accanto ai letti, è nata l’idea: una piattaforma dedicata alla comunicazione fra parenti e pazienti. «Vicino@te» è il nome ed è ideata per condividere pensieri, scatti, messaggi. E bollettino medico, ovviamente. Uno spiraglio di conforto. «Per incoraggiare sia i pazienti sia i familiari», rimarca Pedrotti.
Dottore, in queste prime settimane cosa avete capito del virus?
«Quando i pazienti a seconda della gravità arrivano alla nostra attenzione sono in instingue sufficienza respiratoria e presentano la classica polmonite interstiziale alla radiografia del torace. Poi, certo, i livelli di gravità sono diversi perché comprendono i vari stadi di sviluppo».
Le terapie sono in divenire e Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco, coordina le sperimentazioni farmacologiche. Ma cosa significa concretamente trattare un virus scarsamente conosciuto?
«Partiamo da conoscenze ridotte, molto basse. Ma l’esperienza cinese e prima di noi della Lombardia ci ha consentito di avere una serie di esperienze di altri centri. Ad oggi farmaci antivirali specifici non ci sono, non c’è vaccino, questo virus non lo si conosce bene e la terapia viene modulata in base alla gravità delle condizioni c liniche. Ma ciò che contraddiil decorso è l’insufficienza respiratoria che ha ormai criteri di trattamento standardizzati e che usiamo per altre polmoniti, ad esempio porre il paziente in posizione prona per migliorare l’ossigenazione. Poi abbiamo alcune modalità di ventilazione specifiche in attesa che il sistema immunitario risponda con produzione di anticorpi e via via via si guarisca».
Le terapie intensive delle regioni maggiormente colpite sono in sofferenza, ma ovunque la situazione è seria. Per rendere l’idea dello sforzo rispetto ai numeri ordinari quali sono i carichi di oggi?
«La nostra terapia intensiva è stata completamene rivoluzionata, noi qui avevamo otto posti letto e in questo momento, considerando l’incremento della rianimazione generale, siamo a 25 e ci stiamo organizzando per arrivare a 32 posti. Abbiamo quindi quadruplicato il numero dei posti letto e, di conseguenza, sia il numero di infermieri sia di medici è aumentato in modo importante. Abbiamo in ogni momento cinque medici e dodici infermieri, più oss di supporto. Alcuni pazienti sono impegnativi e richiedono molta assistenza».
Oltre allo sforzo nelle terapie c’è quello emotivo: chi è ricoverato nei reparti di malattie infettive soffre l’isolamento ma mantiene un contatto autonomo con i propri cari. Chi entra in terapia intensiva invece si affida completamente a voi, idem i familiari. Come gestite le relazioni?
«Noi da subito ci siamo resi disponibili a contattare i familiari telefonicamente. Poi ci è venuta l’idea di un sistema per stare più vicino ai familiari e ai pazienti, quindi abbiamo pensato di attivare una piattaforma, si chiamerà Vicino@te, che ci consente di mettere online messaggi, foto e bollettino medico. Un servizio organizzato con il supporto dei tecnici per dare anche sostegno psicologico ai familiari che sono in una situazione di debolezza complicata dall’isolamento».
Ai pazienti, quando sono coscienti, recapitate anche dei messaggi?
«Sono intubati e sedati ma i familiari ci fanno avere disegni dei figli o dei nipoti per esprimere la loro vicinanza e noi li mettiamo lì, accanto ai letti. È una forma di incoraggiamento per superare il momento e confortare i parenti lontani».
Giovanni Pedrotti Qui avevamo otto posti letto e in questo momento siamo a 25, ma ci stiamo organizzando per arrivare a 32 posti