COLTIVARE LA MEMORIA
Lettere dalla quarantena
Arci del Trentino, con i circoli e le associazioni federate, si è organizzata in questi giorni di pandemia. Ne è nata un’iniziativa via web per coltivare la memoria: «Storie dalla quarantena».
gliendo fondi per la Protezione Civile. Promuovendo cultura utilizzando il web, come con l’iniziativa «Storie dalla quarantena — Lettere ai tempi del coronavirus» dove invitiamo i cittadini a scrivere all’associazione quello che stiamo vivendo, per creare oggi la memoria di domani. «Storie dalla quarantena» nonostante sia in rete da pochi giorni, ha già raccolto molte lettere e contributi. Questa risposta crediamo sia dovuta a un bisogno di condivisione, che evidentemente molte persone sentivano. «L’uomo è un animale sociale» scriveva Aristotele e seppure questa definizione non sia universalmente condivisa, resta diffusa l’idea che comunicare e relazionarsi sia comunque un bisogno primario. Riprenderemo a farlo pienamente, speriamo presto. In questo senso qualche segnale incoraggiante sembra esserci. Certo è che alcuni effetti nel mondo di questa pandemia li iniziamo a intravedere. Non in Siria o nei Paesi in guerra, dove anzi i conflitti si rendono addirittura più cruenti perché la comunità internazionale ha inevitabilmente abbassato la propria soglia di attenzione.
La Cina, che da anni comprime i diritti civili e politici della propria popolazione, ha applicato regole durissime nelle regioni colpite ed oggi sembra essere uscita fuori dall’emergenza. Sarà così ancora di più il motore economico del mondo, perché prima di altri riprenderà a produrre, trovando bassi costi delle materie prime ed ampi mercati a disposizione. Inoltre Pechino si è affacciata con sulla politica internazionale, giocando anche sul terreno del soft power e dell’allargamento delle relazioni diplomatiche. Un ruolo guida a cui invece gli Stati Uniti sembrano aver rinunciato. L’offerta di un miliardo di dollari che Trump avrebbe inoltrato alla casa farmaceutica CureVac per comprare l’eventuale brevetto del vaccino a cui stanno lavorando i ricercatori tedeschi, con la condizione di renderlo disponibile solo per l’America, rappresenta il peggio di ciò che un governante può fare, sia in termini valoriali sia di prospettiva politica. I Paesi non liberali diventeranno dunque anche un modello politico? Alcune democrazie «in transizione» hanno già intrapreso il ritorno verso regimi autoritari, come successo in Ungheria. Orbàn potrà cambiare o sospendere le leggi esistenti senza il coinvolgimento del Parlamento, non convocare le elezioni, limitare la libertà di stampa, anche utilizzando il carcere. Tutto ciò non può avvenire nel silenzio dell’Europa, che oggi si trova ad avere come membro, e a finanziare, uno Stato illiberale. Anche la destra italiana, che aveva individuato nel leader ungherese l’interlocutore europeo del sovranismo, non potrà esimersi dal distanziarsene. Le reazioni a caldo di alcuni leader italiani che hanno ridotto i provvedimenti di Orbàn a legittime scelte di politica interna sono preoccupanti anche per noi, perché giocano con il valore e la condivisione della democrazia. L’Europa è dunque chiamata davvero a svolgere il suo ruolo, nella tutela dei diritti e della democrazia, nell’adozione di strumenti economici e finanziari solidali all’altezza della situazione. È evidente che i regimi politici non democratici hanno maggiori strumenti nell’esercizio del controllo sociale. Le democrazie faticano a reagire in questo campo con eguale prontezza. Personalmente credo che la difesa della democrazia oggi passi dalla capacità di dimostrarsi ugualmente efficiente ed efficace nella tutela della salute pubblica. Di un sistema sanitario pubblico che, seppur negli ultimi anni ridotto e bistratto, ha saputo dimostrare la propria competenza e la necessità di tornare nazione (non fosse altro perché le malattie non vedono i confini nazionali, dunque ancor meno quelli regionali).
Se riusciremo a superare questa prova credo che la fiducia dei cittadini nella democrazia non potrà che aumentare. In questi anni la democrazia si è davvero indebolita nella sfiducia popolare verso i propri rappresentanti politici e le istituzioni; una distanza che speriamo torni a colmarsi. Lo stato emergenziale comprime certamente il dibattito e la discussione, allarga i poteri esecutivi, spinge tutti i livelli a una maggiore corresponsabilità rispetto all’ottica maggioranza/opposizione. Una fisarmonica che, stretta, suona una musica diversa, ma che resta capace di allargarsi quando, non appena sarà possibile, potrà riempirsi di nuova aria. Perché è tutto quello di cui oggi ognuno di noi sente più la necessità.