Flaccadori: Baviera, basket e nostalgia «bianconera»
L’ex Aquila: «Sono in un club stellare, miglioro e gioco play»
L’organizzazione del Bayern è talmente grande che in sei mesi non ho ancora conosciuto tutti i dipendenti
Il personaggio Ha scelto il Bayern per un salto nella sua carriera, ma Diego pensa ancora ai bianconeri. E alla famiglia che vive a Bergamo tra la fatica e il dolore dell’emergenza Covid
Parlare di sport con lui è un po’ più semplice se non altro per la distanza. Diego Flaccadori, ex bandiera dell’Aquila, è infatti rimasto a Monaco di Baviera dove continua ad allenarsi individualmente. La sua famiglia è invece a casa, in quella Bergamo devastata dal coronavirus. Sentimenti contrastanti per un ragazzo di quasi 24 anni — li compirà domenica — professionista maturo ma pur sempre un giovane che si trova all’estero da solo.
Flaccadori, intanto ci dica come stanno i suoi cari?
«Fortunatamente i miei parenti e le persone più vicine al sottoscritto stanno bene, sono diversi invece coloro che sono venuti a mancare tra i miei conoscenti. Una coppia di cari amici di mamma e papà, il bagnino della spiaggia dove storicamente andiamo l’estate solo per fare qualche esempio. I miei nonni hanno poi visto passare sotto casa loro quei camion militari carichi di feretri, le immagini mi hanno colpito enormemente guardandole alla tv, figuratevi loro. Insomma è una tragedia pazzesca».
La situazione in Germania invece com’è?
«Ci sono meno restrizioni rispetto all’Italia, bar, ristoranti e negozi sono chiusi così come le scuole. Però per uscire non c’è bisogno di alcun permesso, in due settimane non mi ha mai fermato nessuno e non ho notato una grande diminuzione del traffico veicolare».
Lei si sta allenando a casa o in palestra?
«In palestra, attualmente è concesso anche se individualmente. Con i compagni ci organizziamo a livello di orari e poi si può usare sia la palestra che il campo da gioco. Attualmente
il campionato è bloccato sino al 30 aprile, nulla è ancora stato sospeso né cancellato».
È arrivato al Bayern Monaco a metà dello scorso agosto, ci racconti che tipo di realtà ha trovato.
«Per farvi capire cos’è il Bayern vi dico che ancora non ho conosciuto tutte le persone che ci lavorano. Hanno tre o quattro social manager, tre persone addette al ticketing, un allenatore con esperienza in Nba dedicato solo al lavoro individuale, strutture di livello assoluto. Insomma una potenza».
Immaginiamo che l’approccio non sia stato dei più semplici.
«Mi sono sentito come quando a 18 anni ero arrivato a Trento, le stesse sensazioni. Vedevo tutto grande, non riuscivo bene a cogliere l’essenza poi però la situazione è cambiata».
E come procede invece l’inserimento tecnico-tattico ?
«Molto meglio del previsto. Con il Bayern ho firmato un contratto triennale e, in linea di massima, la prima stagione sarebbe dovuta servire ad ambientarmi completamente. Poi però, complice anche qualche infortunio dei miei compagni, mi sono trovato a giocare più del previsto in contesti importanti senza sfigurare. Il nostro tecnico, Oliver
Kostic, mi utilizza come playmaker e devo dire che mi piace parecchio. Poi è chiaro che le difficoltà ci sono, ho dovuto riabituarmi ad entrare e uscire dalla panchina dopo qualche stagione all’Aquila dove questo problema non esisteva più».
Del campionato tedesco (i bavaresi sono primi con 4 punti di vantaggio sul MHP Riesen Ludwigsburg) che ci dice?
«Non saprei se considerarlo più o meno competitivo rispetto a quello italiano. In serie A c’è probabilmente più qualità complessiva soprattutto nei top club, qui però fisicamente e a livello di intensità fanno paura. Se non entri in campo da subito concentrai ti trovi sotto di dieci in un amen anche con la quartultima».
Una volta finiti gli impegni con la squadra cosa fa Flaccadori a Monaco?
«I primi due mesi ero disperato sul fronte alimentazione, qui non hanno proprio la cultura del cibo tanto che sono arrivato a pensare di dover imparare a cucinare. Con il tempo fortunatamente ho trovato qualche ristorante all’altezza, la città è comunque grande e quindi l’offerta c’è. Sul fronte lingua stendiamo un velo pietoso, è difficilissima e non mi sono mai messo di impegno, per fortuna nell’ambiente lavorativo tutti parlano l’inglese. Fuori invece non è così ma con i gesti alla fine ci s’intende. Per il resto trascorro molto tempo a casa, fino a quando si giocava regolarmente tra campionato ed Eurolega il tempo libero era davvero poco».
Cosa le manca di più dell’Italia?
«La famiglia e la fidanzata, ma è scontato. Sapete invece una cosa? Mi sono accorto di quanto profondamente sono legato a Trento e all’Aquila qui in Baviera, diverse volte mi sono messo a riguardare le clip delle stagioni 2016-2017 e 2017-2018, abbiamo fatto davvero qualcosa di grande in una città super, in una società con la S maiuscola. In serie A tornerei solo per vestire la canotta bianconera. E non sono l’unico a pensarlo».
Si è confrontato con altri suoi ex compagni?
«Sì, Dominque Sutton tornerebbe al volo, Beto Gomes se avesse cinque anni in meno verrebbe a piedi e Shavon Shields pure. Chissà che tra qualche anno agli ordini di Maurizio Buscaglia non si riesca a chiudere un cerchio, sia chiaro: è il pensiero di un ragazzo di 23 anni, spero che chi ora è a Trento possa ottenere grandissimi risultati. Io continuo a seguirli con tutto il cuore».