Corriere del Trentino

«Venti giorni con l’ossigeno, i sanitari sono straordina­ri»

Fernando Panizza, ex assessore di Vermiglio, racconta il lungo ricovero. «Non pensi al peggio, ma ho visto persone intubate e poi portate via»

- Dafne Roat

Il timore

Il mio pensiero costante? La famiglia e i nipoti, per fortuna non sono contagiati

«L’ho sperato tanto, con qualche lacrima di gioia che scende dagli occhi mentre salgo le scale di casa, con la mente che velocement­e mi ripresenta una serie di coincidenz­e positive». Le parole di Fernando Panizza, 66 anni, di Vermiglio, presidente del circolo anziani ed ex assessore, toccano nel profondo. Sono le parole di chi ce l’ha fatta, di chi ha vinto la sua battaglia, ma nella mente sono ancora impresse le immagini dei pazienti che erano s accanto al suo letto e di chi è stato portato via d’urgenza intubato. Poi medici, infermieri, il loro sorriso, il loro calore. «Lavorano in situazioni spesso al limite della sopportabi­le forza fisica», afferma.

Panizza, lei è il secondo guarito di Vermiglio, il vostro paese è stato molto colpito, quando ha iniziato ad accusare i primi sintomi?

«Vermiglio è vicina alla località turistica del Tonale, la diffusione del virus è stata favorita dagli ultimi passaggi dei turisti invernali. Non so come sono stato contagiato, forse in paese. Ho iniziato ad accusare i classici sintomi influenzal­i, tosse, poi febbre alta, sopra i 38,5. L’ultimo pensiero era che si trattasse del Covid-19, nei primi giorni non mi sono reso conto. Poi ho iniziato a respirare a fatica e a sentire il cuore sotto sforzo».

A quel punto ha chiamato il medico? Quando è stato ricoverato?

«Mi sono consultato con il mio medico e sono stato portato all’ospedale di Cles, sono stato sottoposto al tampone e il giorno successivo è arrivata la conferma che si trattava di coronaviru­s. A quel punto mi hanno trasferito ad Arco, nel reparto di terapia semi intensiva. Quando sono arrivato l’avevano appena allestita. Mi sono trovato in una realtà particolar­e».

In che senso?

«Stavano finendo di allestire il reparto in quel momento, percepivi l’emergenza che coinvolge tutti a partire dai meparlo dici, gli infermieri, gli oss e poi ci sono gli ammalati».

Quanto tempo è rimasto in ospedale? Come ha vissuto quei giorni?

«Sono entrato in ospedale l’11 marzo, sono rimasto una ventina di giorni. Ad Arco sono stati meraviglio­si, c’è un personale straordina­rio sia da un punto di vista umano che profession­ale. Sono sempre pronti a regalarti un sorriso. Non so come il personale medico e gli infermieri abbiano resistito i primi giorni, erano sotto stress fisico e mentale in modo impression­ante, continuava­no ad arrivare casi e la struttura era appena finita. Non si preoccupan­o mai della loro incolumità, non risparmian­o tempo e amore.

Ha mai avuto paura? In quei momenti aveva la percezione della gravità della situazione?

«Il problema non è avere paura, in realtà non ti rendi conto, non sai che da lì a poco puoi passare a una fase più acuta. Senti la forza dell’ossigeno, è immensa, continuano a pomper riaprire gli alveoli. Ti accorgi vedendo gli altri accanto te, il loro dolore e il sacrificio dei sanitari; per otto giorni sono stato in stanza con altri ammalati, alcuni di loro hanno avuto forti crisi respirator­ie, ho assistito quando li hanno intubati e poi trasferiti nei reparti di terapia intensiva. Vedi tanti casi difficili. È dura».

Qual è stato il suo pensiero costante in quei giorni?

«I miei figli, i miei nipoti, la mia famiglia, ero stato in contatto con tutti loro la settimana precedente. Per fortuna per ora stanno tutti bene. Sono stato fortunato, adesso sto bene, anche se nessuno sa se davvero ci saranno ricadute».

Qual è stata la prima cosa che ha fatto al suo rientro a casa?

«Sono arrivato ieri (lunedì ndr) verso le 18.30, stava nevicando mentre salivo le scale. Poi ho scritto un messaggio e l’ho pubblicato su facebook per ringraziar­e tutti dei tanti messaggi, della vicinanza e per dare un messaggio di speranza».

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