UE, BUSSOLA INDISPENSABILE
Si parla tanto di Europa in questi giorni: quello che l’Europa deve fare, le decisioni che non può non prendere, che cosa possiamo aspettarci, «qui si fa l’Europa o si muore», l’egoismo dei paesi del Nord, la pandemia globale e la solidarietà che tarda ad arrivare, anche se ieri Ursula von der Leyen ha finalmente comunicato una svolta solidale nella politica europea. In generale penso che nei confronti dell’Europa dovremmo cambiare atteggiamento: anziché criticare le decisioni europee, occorre essere in grado di orientarle attivamente. Non siamo gli ultimi arrivati ma uno dei Paesi fondatori. Se siamo consapevoli di essere essenziali per la cultura, la storia e l’economia europea, perché non puntare a diventare finalmente protagonisti?
La lamentela è sempre subalterna, sterile e poco consapevole di sé e del prorio valore. Un’altra osservazione riguarda la storia europea. Si dice: l’UE è solo un’unione di convenienza economica e per di più solo per alcuni e non per tutti. E si è vista in questi giorni l’estraneità e la scarsa empatia tra i diversi Paesi, ora forse in parte superata. Ancora: l’Europa ha rinunciato al grande sogno dei padri fondatori, non riesce a essere un’unità politica, ma solo un’accozzaglia di interessi non convergenti, uniti da una moneta da molti ancora odiata. Ho sempre pensato che solo con la moneta unica poteva iniziare l’unificazione europea: troppo consolidate le differenti culture e lingue, che troppo a lungo si sono combattute. La moneta, scambiabile con ogni merce, è uno strumento generico e un equivalente universale, facilmente slegabile dalla storia del singolo paese. Mezzo impersonale e per sua natura astorico, consente l’acquisto e la vendita di qualsiasi cosa. Non ha smesso di circolare, per la sua natura «liquida», mentre tutti restiamo chiusi in casa. L’euro, con tutti i suoi limiti, è stato il primo e più adeguato passo verso un’unità che resta complicata, ma che sarà inevitabile. Il rischio che oggi corre l’intera Europa con il nuovo virus è enorme, ma può portare con sé l’accelerazione di passi successivi che già si cominciano a intravedere. Le emergenze hanno spesso un risvolto positivo: nella risposta alle avversità le inerzie scompaiono e le inezie appaiono per quello che sono: superflue. In vista delle vere priorità, gradualmente ma inesorabilmente prevalgono schemi comuni di comportamento. Non importa se questo significa in questo momento che ognuno di noi sta a casa propria, e se l’immagine prevalente è quella della chiusura, unico modo per scoraggiare la circolazione del virus. Uno schema d’azione comune accomuna. Viviamo tutti la stessa esperienza nello stesso momento pur con i nostri diversi stili. Le differenze vanno in secondo piano. La solidarietà non è facoltativa, e infatti le prime decisioni positive stanno finalmente arrivando.
Per questo penso che dopo questa prova ardua e inaspettata si sia più portati a un avvicinamento, a un’unità sentita sempre più come necessaria. Del resto siamo tutti attaccati a tv e computer e seguiamo le notizie da tutta Europa, da tutto il mondo e le sentiamo come nostre. Questo non avveniva durante l’ultima guerra, dove i fronti rimanevano opposti e le differenze aumentavano. Nessuno sentiva le altre nazioni europee come simili a noi. Ognuno doveva, era obbligato a fare la propria strada cercando solidarietà unicamente all’ interno del proprio paese. Solo alcune persone lungimiranti capirono, nel primo dopoguerra, che questo poteva e doveva essere l’inizio della fine dei nazionalismi, dell’odio e delle differenze che escludono. Quelle idee sono ancora per noi oggi punti di riferimento, e la loro realizzazione dopo questa emergenza può essere di più alla nostra portata.