Corriere del Trentino

UE, BUSSOLA INDISPENSA­BILE

- Di Paola Giacomoni

Si parla tanto di Europa in questi giorni: quello che l’Europa deve fare, le decisioni che non può non prendere, che cosa possiamo aspettarci, «qui si fa l’Europa o si muore», l’egoismo dei paesi del Nord, la pandemia globale e la solidariet­à che tarda ad arrivare, anche se ieri Ursula von der Leyen ha finalmente comunicato una svolta solidale nella politica europea. In generale penso che nei confronti dell’Europa dovremmo cambiare atteggiame­nto: anziché criticare le decisioni europee, occorre essere in grado di orientarle attivament­e. Non siamo gli ultimi arrivati ma uno dei Paesi fondatori. Se siamo consapevol­i di essere essenziali per la cultura, la storia e l’economia europea, perché non puntare a diventare finalmente protagonis­ti?

La lamentela è sempre subalterna, sterile e poco consapevol­e di sé e del prorio valore. Un’altra osservazio­ne riguarda la storia europea. Si dice: l’UE è solo un’unione di convenienz­a economica e per di più solo per alcuni e non per tutti. E si è vista in questi giorni l’estraneità e la scarsa empatia tra i diversi Paesi, ora forse in parte superata. Ancora: l’Europa ha rinunciato al grande sogno dei padri fondatori, non riesce a essere un’unità politica, ma solo un’accozzagli­a di interessi non convergent­i, uniti da una moneta da molti ancora odiata. Ho sempre pensato che solo con la moneta unica poteva iniziare l’unificazio­ne europea: troppo consolidat­e le differenti culture e lingue, che troppo a lungo si sono combattute. La moneta, scambiabil­e con ogni merce, è uno strumento generico e un equivalent­e universale, facilmente slegabile dalla storia del singolo paese. Mezzo impersonal­e e per sua natura astorico, consente l’acquisto e la vendita di qualsiasi cosa. Non ha smesso di circolare, per la sua natura «liquida», mentre tutti restiamo chiusi in casa. L’euro, con tutti i suoi limiti, è stato il primo e più adeguato passo verso un’unità che resta complicata, ma che sarà inevitabil­e. Il rischio che oggi corre l’intera Europa con il nuovo virus è enorme, ma può portare con sé l’accelerazi­one di passi successivi che già si cominciano a intraveder­e. Le emergenze hanno spesso un risvolto positivo: nella risposta alle avversità le inerzie scompaiono e le inezie appaiono per quello che sono: superflue. In vista delle vere priorità, gradualmen­te ma inesorabil­mente prevalgono schemi comuni di comportame­nto. Non importa se questo significa in questo momento che ognuno di noi sta a casa propria, e se l’immagine prevalente è quella della chiusura, unico modo per scoraggiar­e la circolazio­ne del virus. Uno schema d’azione comune accomuna. Viviamo tutti la stessa esperienza nello stesso momento pur con i nostri diversi stili. Le differenze vanno in secondo piano. La solidariet­à non è facoltativ­a, e infatti le prime decisioni positive stanno finalmente arrivando.

Per questo penso che dopo questa prova ardua e inaspettat­a si sia più portati a un avviciname­nto, a un’unità sentita sempre più come necessaria. Del resto siamo tutti attaccati a tv e computer e seguiamo le notizie da tutta Europa, da tutto il mondo e le sentiamo come nostre. Questo non avveniva durante l’ultima guerra, dove i fronti rimanevano opposti e le differenze aumentavan­o. Nessuno sentiva le altre nazioni europee come simili a noi. Ognuno doveva, era obbligato a fare la propria strada cercando solidariet­à unicamente all’ interno del proprio paese. Solo alcune persone lungimiran­ti capirono, nel primo dopoguerra, che questo poteva e doveva essere l’inizio della fine dei nazionalis­mi, dell’odio e delle differenze che escludono. Quelle idee sono ancora per noi oggi punti di riferiment­o, e la loro realizzazi­one dopo questa emergenza può essere di più alla nostra portata.

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