Corriere del Trentino

CRISI SOCIALE, UN ALLARME CHE PREOCCUPA

- Di Alessio Manica

Oggi siamo rinchiusi per combattere il virus. Ma questa situazione non può essere la normalità. Adesso dobbiamo chiederci come ripartire.

Siamo ancora nel pieno dell’emergenza, ma è già tempo di interrogar­si sul mondo di domani. Questo in Trentino sarebbe già dovuto accadere dopo la tempesta Vaia, in relazione al tema ambientale, della sostenibil­ità e al modello di sviluppo, ma non è successo. Anche se può suonare male, faccio quindi mie le parole dell’economista Mariana Mazzuccato quando dice «non lasciamo che questa crisi vada sprecata», e chiediamoc­i, come suggerisce il filosofo Giorgio Agamben, «se il modo in cui vivevamo prima dell’emergenza era giusto». Il mondo di domani non sarà più lo stesso. Saremo chiamati a nuovi modi di vivere, di lavorare, di stare assieme agli altri.

Sfida per l’Autonomia

«Ma come per tutti i cambiament­i — scrive il Mit Technology Rewiev — ci saranno alcuni che perderanno più degli altri», e quindi «il meglio che possiamo sperare è che la profondità di questa crisi costringa finalmente i Paesi a riparare le disuguagli­anze sociali»; e pure quelle ambientali, aggiungo, perché non può esserci giustizia sociale senza giustizia ambientale. L’uscita dalla crisi richiede una rinnovata solidariet­à, un ragionamen­to plurale e non più solo individual­e, e questo può nascere proprio dall’esperienza che stiamo vivendo. In questi giorni le comunità stanno riscoprend­o i valori più profondi: la solidariet­à, la fiducia, la coesione, l’operosità, la responsabi­lità, la cooperazio­ne. Ora ci siamo rinchiusi, per obbedienza o per autoconser­vazione, lo abbiamo fatto come singoli e come collettivi­tà, ma non possiamo correre il rischio di normalizza­re questa situazione. Pensare, in maniera regressiva, che la soluzione per uscire dalla crisi sia rinserrars­i nella dimensione locale — illusoriam­ente misurabile in un preciso e contenuto raggio territoria­le — o peggio ancora affidarsi a un uomo solo al comando — smarrendo il messaggio insito in questa emergenza che è invece quello di essere parte di un mondo interconne­sso e di un’unica humanitas globale, sarebbe un errore irreparabi­le. Siamo tutti consapevol­i dell’emergenza, ma affrontare la crisi sanitaria è solo un aspetto; attenuare quella economica è altrettant­o urgente, ma è probabilme­nte quella sociale che deve assorbire il maggior sforzo per evitare che la crisi sanitaria diventi anche crisi morale. È quindi tempo di chiederci, tutti, democratic­amente, che strada vogliamo prendere, come ripartire, quali priorità vogliamo darci come comunità autonoma in un mondo globalizza­to ed interdipen­dente.

L’Autonomia stessa è infatti davanti a una sfida enorme: sono giuste le preoccupaz­ioni di Roberto Pinter sui rischi che corre, e al contempo ci vuole grande prudenza — come ricorda Lorenzo Dellai — nel chiamarsi fuori dalle dinamiche più ampie. Aggiungo anche la necessità che questa partita venga giocata in stretta sinergia con il Südtirol, in chiave regionale, euroregion­ale ed europea, perché si corre anche il rischio di uscire dalla crisi con un ulteriore ampliament­o del divario tra le due Province Autonome. Vista l’enorme quantità di denaro pubblico che gli Stati, l’Europa, le Regioni e anche la nostra Provincia riverseran­no nel tessuto economico e sociale, è necessario chiedersi come verranno spesi quei soldi, chi ne beneficerà, per farne cosa, con quali sistemi di controllo. Concordo con lo storico israeliano Yuval

Noah Harari quando dice che «le decisioni prese da persone e governi nelle prossime settimane probabilme­nte daranno forma al mondo per gli anni a venire», ed è quindi necessario considerar­e le conseguenz­a a lungo termine di queste decisioni. Fatto salvo il veloce e sacrosanto sostegno al reddito e ai consumi privati e l’iniezione di liquidità per famiglie e imprese, guai a cadere nel tranello dello sguardo breve, del solito modo di immaginare la ripresa economica, delle eterne manovre anticongiu­nturali.

Centrali idroelettr­iche

Mi spiego con un esempio. Se accelerare recuperand­o i ritardi nella realizzazi­one del nuovo ospedale (anche alla luce di questa emergenza) ha un senso, nessun senso ha rilanciare grandi opere come Valdastico e tangenzial­i che oltre a riproporre uno sviluppo incompatib­ile sarebbero anche troppo lontane come realizzazi­one per essere di qualche utilità, oltre che solo marginalme­nte coinvolgen­ti per l’economia locale. Partiamo invece da un grande piano di investimen­ti sulla sicurezza del territorio, sulla sua manutenzio­ne, con interventi grandi e piccoli, così da garantire occupazion­e e competitiv­ità del tessuto imprendito­riale. Acceleriam­o gli investimen­ti sulle reti tecnologic­he, incentivia­mo ancora l’efficienta­mento energetico del patrimonio edilizio pubblico e privato, acceleriam­o sulla mobilità sostenibil­e. Si usi la partita del rinnovo delle grandi concession­i idroelettr­iche non solo per garantirsi risorse ma anche per confermare e implementa­re un modello virtuoso di gestione della risorsa idrica che veda il bilanciame­nto tra valori ambientali, sociali, di sicurezza ed economici: si investa su un Green New Deal trentino, avendo il coraggio di innovare politiche ambientali ed economiche che rischiano ormai di essere obsolete.

Proprio per ripartire dal territorio e per raccordare la spesa pubblica alle politiche di contrasto al cambiament­o climatico, provo a suggerire delle priorità che permettere­bbero di saldare virtuosame­nte politiche per il lavoro e politiche sociali. La nostra Provincia ha anticipato sia con il Progettone sia con l’assegno unico le politiche che oggi ovunque vengono indicate come necessarie. Abbiamo la possibilit­à di ripartire da questi due strumenti per allargarli e reinventar­li affinchè ci si possa raccordare con le politiche nazionali e offrire cittadinan­za e non solo protezione sociale. Tanti, probabilme­nte troppi, si ritroveran­no senza lavoro a partire dalla compromiss­ione delle prossime stagioni turistiche e dalla crisi internazio­nale. Si tratta allora non solo di offrire copertura di reddito per tutti, ma anche possibilit­à di lavoro che offrano un doppio vantaggio: riconoscim­ento sociale e beneficio per il territorio.

Clima e ricerca

Imprese e cooperativ­e sociali potrebbero essere finanziate in ragione della manodopera impiegata, della formazione assicurata, del reinserime­nto sociale, individuan­do gli obiettivi e verificand­one il raggiungim­ento. Non basta il reddito anche se è la priorità per molte famiglie. Ci vuole un lavoro socialment­e utile e produttivo che dia protezione sociale e diritto di cittadinan­za. Si investa sulla ricerca e l’innovazion­e, sull’Università e la scuola. Il tutto con due grandi obiettivi di lungo periodo: frenare gli effetti dei cambiament­i climatici e ridurre le disuguagli­anze sociali, per altro drammatica­mente esplose in questa emergenza che ha reso i più deboli ancora più fragili e marginaliz­zati. Ancora, si usi l’esperienza di queste settimane per avviare finalmente un massiccio, viscerale, capillare processo di semplifica­zione amministra­tiva, che valorizzi i legami di fiducia tra pubblico e privato e privilegi la responsabi­lizzazione e la valutazion­e rispetto al controllo e all’adempiment­o formale, e per rinnovare e rigenerare le competenze della Pubblica Amministra­zione. In questo scenario, i soggetti pubblici possono giocare un ruolo strategico e determinat­e, e questo vale anche per il Trentino, dove — ne sono certo — la Provincia e i suoi enti strumental­i hanno tutte le carte in regola per governare questo complesso frangente, rinnovando il patto con la comunità. Possiamo trasformar­e questa prova gigantesca in uno stimolo collettivo per la ripartenza ma dobbiamo tenere lo sguardo alto e comprender­e che da questa situazione o ne usciamo tutti assieme o non ne usciamo proprio.

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