GARANZIA EUROPEA
Da oggi Michele Andreaus, professore ordinario di Economia aziendale, inizia la sua collaborazione con il Corriere del Trentino.
In questi ultimi giorni sia la Provincia di Trento, sia il governo nazionale hanno messo sul tavolo strumenti molto importanti per gestire l’emergenza finanziaria derivante dal blocco sociale e produttivo del Paese. Va peraltro evidenziato come né l’Italia come nazione, né a maggior ragione la piccola provincia di Trento possono immaginare di gestire questa situazione unicamente con le proprie forze, ovvero in modo non collegato con una dimensione internazionale che certamente da un lato vincola — e questo non necessariamente è un male — ma dell’altro contribuisce a mettere in sicurezza. È infatti ormai evidente come l’emergenza sanitaria globale stia mettendo a dura prova i sistemi economici del mondo intero. Vari sono i nodi che stanno arrivando al pettine: i debiti sovrani e loro sostenibilità, i debiti delle imprese, il crollo del prezzo del petrolio e infine l’esposizione del sistema bancario alle sofferenze che deriveranno da questa crisi. Ognuno di questi punti amplifica gli altri e anche qui, solo una gestione globale e unitaria può consentire di uscire dalla crisi sì acciaccati, ma ancora vivi e soprattutto vitali.
Di base deve esserci la consapevolezza che il mondo occidentale, e soprattutto alcuni Paesi, è entrato in questa crisi con il fiato corto, già debilitato dalla crisi iniziata nel 2008. Il problema riguarda quindi certo la sostenibilità del debito futuro, ma anche e soprattutto quella del debito attuale, stante la forte contrazione attesa del Pil. L’andamento estremamente volatile dello spread nelle scorse settimane evidenzia grande timore da parte dei nostri finanziatori. Se in queste condizioni ci si limitasse a sforare i parametri di bilancio, che vorrebbe dire fare nuovo debito, questo sarebbe via via più costoso e probabilmente alla lunga insostenibile, se gestito e analizzato con i parametri convenzionali. Lo stesso discorso riguarda le imprese, esposte in Italia soprattutto con il sistema bancario e non con i mercati finanziari, come ad esempio negli Usa. Il mondo bancario è uno degli snodi di principale sofferenza: chiamato a concedere credito facile per tenere in vita le imprese sofferenti, ma con il rischio, se non la certezza di vedere esplodere le sofferenze, con la conseguenza di dover raccogliere ulteriori capitali (ma dove?) per evitare il default.
Per questo motivo ritengo che la leva del credito tradizionale, sia agli stati, sia alle imprese, vada usata con molta attenzione. Le imprese sono bancabili se sono in grado di sostenere il debito, ma già prima della crisi, non erano poche le imprese (italiane, europee, americane e cinesi), che avevano un carico di oneri finanziari maggiore della loro capacità di generare liquidità. Aumentare il loro indebitamento vorrebbe dire gravarle di un fardello probabilmente insostenibile, con rischio di contagio sul sistema bancario. Per questo motivo ritengo che, anche attraverso la spesa pubblica, vada creata domanda, in modo che le imprese siano in grado di garantire la sostenibilità del loro debito. Contemporaneamente, vanno sostenute le persone che perderanno il reddito, anche con la distribuzione di denaro a pioggia, il famoso helicopter money di cui si parla a Washington, sebbene il contesto americano sia profondamente diverso da quello europeo. Ma la domanda è: come finanziare tutto ciò, facendo in modo che non solo i sistemi economici, ma innanzitutto i sistemi sociali tengano nei prossimi mesi? Dopo alcuni giorni di tentennamenti, sia l’Europa, sia gli Usa, hanno ora ben chiaro che questi sostegni non potranno essere basati semplicemente su un debito aggiuntivo letto e valutato con i parametri convenzionali, perché vorrebbe dire ricorrere a debito tossico. Diverso il discorso di finanziamenti internazionali a fondo perduto (il famoso piano Marshall) e di un debito con una garanzia europea. Sarebbe questo un passaggio di fondamentale importanza nel percorso di revisione del concetto stesso di Unione Europea. Sinora la trazione tedesca dell’Unione ha influenzato il concetto di debito. In tedesco la parola «debito» e la parola «colpa», sono uguali: Schuld. La creazione di un debito europeo è un passaggio che potrebbe abbattere parte di quei muri che hanno sinora impedito di parlare di vera «Unione» Europea. Ma senza questa garanzia europea, il debito italiano, ma probabilmente anche quello spagnolo e addirittura quello francese, potrebbero perdere l’attuale rating, sino a scendere sotto la soglia che consente alla Bce di acquistare titoli del debito sovrano.
È evidente che ci dovranno essere adeguate garanzie da parte dei singoli Paesi, impegni precisi a mettere in discussione tutto, e l’Italia in questo dovrà essere in prima fila: il nostro debito non deriva da un castigo di Dio, né ce lo ha mandato l’Europa, ma ce lo siamo creati noi, con la nostra incapacità di cambiare, di evolvere e il debito è stato usato per sopperire alla perdita di competitività del sistema Italia. Noi abbiamo molte imprese innovative, ma che operano in un contesto allergico all’innovazione, che deve essere innanzitutto una forma mentis, volta a mettere in discussione tutto, sistematicamente: senza questo humus mentale, l’innovazione non può esistere.
La speranza comunque è che, seppur per necessità, i segnali che si incominciano a intravvedere su una capacità di ragionare non in termini di orticelli, ma di visioni condivise, crescano e si consolidino. In caso contrario, il rischio di trovarci a camminare in uno scenario degno di Mad Max, sarebbe molto probabile.