Dall’Etiopia a Laces: la doppia trincea di Pizzecco, medico «dei due mondi»
Medico di base in Alto Adige, costruttore di ospedali in Africa, il rocker in camice bianco riflette sull’epidemia «Qui è dura, ma laggiù può diventare una catastrofe»
MERANO Toni Pizzecco medico di base e portavoce del gruppo Medici dell’Alto Adige per il mondo, nonché leader del gruppo musicale Westbound che da sempre affianca questa organizzazione raccogliendo fondi con i suoi concerti, è in prima linea contro il coronavirus a Laces, ma con il pensiero rivolto anche all’Africa dove Medici dell’Alto Adige opera.
Dottor Pizzecco, com’è la situazione laggiù?
«Una gran parte della popolazione sa ancora molto poco del virus, e purtroppo non lo teme. Vivono in condizioni di povertà estrema, sono abituati alla fame e alle malattie, non sono terrorizzati da un virus che non si vede e che in Africa è ancora poco diffuso. È proprio l’ignoranza il fattore di rischio più grave connesso principalmente con la difficoltà di raggiungere le periferie. Il Continente sta mettendo in atto campagne di informazione, fa controlli negli aeroporti, e ha chiuso scuole e mercati, è in atto il distanziamento sociale assieme alla promozione di misure igieniche e di protezione, ma questo accade nelle città, mentre il resto del territorio non è affatto sotto controllo, fatto come è di villaggi sperduti dove si vive in capanne e la socialità è molto presente.
In prospettiva cosa può accadere?
«La pandemia si sta avvicinando e lì manca tutto. Potremmo andare incontro a decine di migliaia di morti».
Il vostro gruppo segue in particolare la zona di Attat, 200 chilometri a sud di Addis Abeba. Com’è lì la situazione?
«La nostra collega Rita Schiffer è sul posto e ci tiene informati. Alcune misure preventive, come quelle applicate qui da noi all’inizio, sono in atto. Hanno cucito con le loro mani le maschere di protezione e il farmacista produce una soluzione disinfettante. “Non abbiamo test disponibili – ci scrive la nostra collega - e forse è per questo che non abbiamo ancora confermato casi di Covid19. Non abbiamo un’unità di terapia intensiva e non abbiamo ventilatori. Non ci resta che pregare fiduciosamente e incoraggiarci a vicenda”. Hanno attivato un sistema di pre-triage e i casi sospetti di Covid19 vengono separati dagli altri pazienti e indirizzati a una località dedicata, dove vengono testati. Abbiamo finanziato la costruzione di una clinica, la San Marco, a circa 50 chilometri dall’ospedale di Attat ed è in fase finale di costruzione. In futuro fornirà assistenza medica di base a 25.000 residenti, ma a causa della crisi attuale, se necessario, sarà convertita in un centro di quarantena per i pazienti Covid19.
Cosa serve con urgenza?
«Oltre all’acquisto di maschere e altro materiale protettivo per l’ospedale di Attat, il finanziamento dei progetti idrici rappresenta la forma di aiuto più urgente. Una lattina di acqua e del sapone sono forse il modo più rapido e semplice per salvare molte persone in Africa. C’è poi la prospettiva di un grave impatto sull’economia locale: la popolazione vive di agricoltura in un regime di sussistenza e solo nei mercati di paese, che adesso sono chiusi, ha la possibilità di vendere e acquistare il prodotto del suo lavoro. Si profila la crisi economica come in tutto il mondo, con l’aggiunta della carestia.
Cosa si può fare da qui?
«Paradossalmente la risposta è stare sani e sconfiggere il virus perché, se riprendiamo noi, c’è una speranza anche per loro».
Intanto Lei è sul campo come medico di base in Venosta, territorio finora in massima parte risparmiato dal coronavirus. Come lo spiega?
«Ammetto che una spiegazione logica non ce l’ho. È vero che qui siamo molto disciplinati e io stesso mi bardo come un marziano quando ricevo i miei pazienti o vado in visita. Le stesse precauzioni peraltro vengono prese anche altrove... Perché dunque la Venosta regge meglio? Forse il motivo è che siamo ”periferici” e abbiamo avuto meno turismo in inverno. E questo ci ha un po’ salvati».
Come pensa che proseguirà?
«Confido molto nella possibilità di fare test sierologici per capire meglio la situazione e arrivare all’autunno con qualcosa di concreto in mano. Non conosciamo il virus, ma di solito i virus d’estate non hanno vita facile per cui dovremmo andare incontro a una relativa calma. Un tempo da sfruttare».
Cosa consiglia ai suoi pazienti in tempi di clausura?
Gran parte della popolazione africana sa poco del virus e non lo teme: l’ignoranza del rischio è il pericolo maggiore
Ad Attat, nel nostro ospedale, abbiamo attivato precauzioni Finora zero contagi?
È il kit che manca... Lavoro in Venosta, zona per ora al riparo: forse ci ha aiutati il turismo invernale ridotto rispetto ad altre valli
«Se stanno bene dico loro di mantenere la forma non rinunciando alle brevi passeggiate solitarie nelle immediate vicinanze di casa: servono al corpo e alla mente».