«Rianimazione, fase transitoria L’ozonoterapia? Vedremo»
Penzo: «Siamo in una fase transitoria, 53 ricoverati»
Divide le giornate tra le lunghe ore in corsia , lo studio e le videoconferenze. Sette giorni su sette, 24 ore su 24, senza sosta o quasi. La stanchezza in questo momento non è contemplata. «Anche se siamo consci dei rischi, ma non abbiamo tempo di preoccuparci di noi stessi», spiega Daniele Penzo, direttore di anestesia e rianimazione 1 e 2 dell’ospedale di Trento. «La situazione ora si è un po’ calmierata anche dal punto di vista psicologico», aggiunge.
Primario, è trascorso più di un mese dall’inizio dell’emergenza Covid-19, i posti in terapia intensiva sono stati implementati, qual è la situazione attuale?
«Siamo arrivati a sviluppare 5 aree di terapia intensiva per in totale di 65 posti letto solo per Trento, non siamo mai arrivati a coprirli tutti, massimo 60-62 nei momenti di maggiore acuità, quindi 7-8 giorni fa. È stato fatto un lavoro con una progressione graduale».
Si sta pensando a riattivare le sale operatorie, è fattibile?
«Siano in una fase di transizione, da un lato ci sono ancora numerosi posti occupati e aree del blocco operatorio non liberabili, ma dall’altro comprendiamo la necessità di riattivare l’attività programmatica della chirurgia. Proprio in queste ore stiamo discutendo con il direttore del Sop (servizio ospedaliera provinciale) e il direttore sanitario di riprendere gradualmente l’attività della chirurgia oncologica, credo che già questa settimana inizieremo a riattivarla. Comunque anche quando siamo stati nel massimo della pressione sono state garantite le attività di urgenza, emergenza e i tagli cesarei urgenti e programmati».
Quanti pazienti sono ricoverati in terapia intensiva in questo momento?
«Sono 53 tra le cinque rianimazioni. Per poter sostenere l’assistenza abbiamo dovuto usare anche personale normalmente dedicato all’assistenza nel blocco operatorio. È importante mantenere l’assistenza nei tempi di degenza dei pazienti Covid».
Quanto dura la degenza media?
«Trai 15 e i 20 giorni, ma abbiamo già iniziato a dimettere pazienti, ad oggi (ieri ndr) sono 6-7 e abbiamo una decina di svezzamenti respiratori che successivamente andranno nei reparti di degenza di medicina interna e pneumologia, ad Arco, se possibile».
Qual’è l’età media ? Si è abbassata rispetto all’inizio della pandemia?
«Il paziente più giovane che abbiamo trattato (il dato è fino a 4 aprile ndr) ha 37 anni, il più anziano 82 anni, ma l’85% dei pazienti sono maschi tra i 62-63 anni. La maggior parte avevano già qualche comorbilità, diabetici, obesi, ma ci sono state polmoniti anche in pazienti che non le aveva».
Secondo lei siamo in un una fase discendente?
«Il numero di ricoveri che stiamo facendo mi fa ben sperare, siamo in una fase di transizione, le proiezioni che abbiamo sembrano darci conferma che il picco in termini di ricovero lo abbiamo già raggiunto, ma abbiamo molti pazienti nei reparti di medicina che possono peggiorare».
In questi giorni si parla molto della sperimentazione all’ospedale di Udine dell’ozonoterapia che potrebbe evitare la terapia intensiva, cosa ne pensa?
«Molte terapie che si stanno facendo hanno l’etichetta sperimentale, ci sono alcune esperienze, molto limitate, disegni e studi scientifici, ma che non soddisfanno i criteri. Stiamo valutando, potrebbe essere una delle cose che potremo contemplare».
Voi siete sempre in prima linea, state facendo un lavoro enorme, ma siete anche i più a rischio. Come sta
reagendo il personale? Quanti siete?
«Siamo 62 medici e 170-180 tra infermieri e Oss. Abbiamo avuto qualche sfortunato episodio, alcuni medici e infermieri hanno contratto l’infezione, ma per fortuna sono andati a buon fine, nonostante il carico di lavoro c’è stato molto entusiasmo e siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo di dare la massima disponibilità di posti. Siamo riusciti a capitalizzare le informazioni che arrivavano dalle altre regioni come Veneto e Lombarda. Da tutto questo dobbiamo però trarre un insegnamento».
Quale?
«Servono programmi preventivi. Mi attendo, una volta passato tutto, che una serie di riflessioni vengano fatte, per essere più pronti con risposte proporzionate, ma forse bisognerà riflettere anche su cosa deve essere il sistema nazionale e se i concetti di aziendalizzazione spinta siano giusti».
Si è discusso molto sul tema dell’accesso alle cure, la maggiore preoccupazione è quella di non lasciare soli i professionisti, lei cosa ne pensa?
«Rispetto ai principi morali e di uguaglianza e giustizia sono d’accordo anche io che tutti vanno curati, ma il problema è estremamente pratico: è impossibile nel momento in cui si realizza una discordanza tra necessità e risorse non trovarsi nell’immediato a fare delle scelte, che non sono dettate però dall’età. Ti affidi a criteri di ordine clinico dettati dall’urgenza e da valutazioni di carattere generale. È come se ci trovassimo ad affrontare una catastrofe, anche se non vuoi devi fare delle scelte. Non ci deve essere ostinazione terapeutica, bisogna dare are risposte adeguate a tutti. Da un punto di vista politico e sociale invece si dovrà pensare a come riorganizzare la sanità in modo da non dover essere costretti in futuro a fare delle scelte».