Corriere del Trentino

Valore e sfide dell’Europa

- Roberto Toniatti

«L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazi­oni concrete che creino anzitutto una solidariet­à di fatto».

Pragmatism­o e visione sono stati le due fonti complement­ari di ispirazion­e del progetto europeo, il freno e l’accelerato­re di un processo del tutto originale ed innovativo il cui esito finale non è ancora noto, la concretezz­a e l’idealismo nell’affrontare e governare un’esperienza sperimenta­le, graduale ed incrementa­le di integrazio­ne sovranazio­nale andando al di là della mitologia circa il ruolo politico esclusivo degli Stati nazione come fine in se stesso.

Il nostro continente — con l’eccezione della guerra balcanica negli anni ’90 che ha avuto cause endogene riconducib­ili proprio al pluridecen­nale isolamento dell’altra Europa rispetto all’area euro-atlantica — non ha mai conosciuto un periodo di pace così lungo durante il quale non vi è stata solo assenza di conflitti armati, ma si è consentito ad ogni individuo — cittadino dell’Unione Europea — di vivere e programmar­e la propria vita personale e profession­ale in una dimensione tendenzial­mente senza confini. Dopo 70 anni, un conflitto armato in Europa oggi sarebbe una guerra civile. L’Europa dei cittadini — senza magari che i cittadini stessi ne abbiano lucida consapevol­ezza — è la nostra realtà quotidiana.

La celebrazio­ne odierna dell’Europe Day, proprio in virtù del fatto che la visione dell’integrazio­ne è un processo aperto che ha conosciuto e conosce fasi di rallentame­nto e fasi di accelerazi­one, non può essere offuscata dalle tantissime difficoltà che l’Unione sta attraversa­ndo, probabilme­nte perché le istituzion­i dell’Unione non riescono a sottrarsi responsabi­lmente all’invadenza del metodo intergover­nativo imposto dai «signori dei trattati», ossia gli Stati membri. In proposito, occorre richiamare una concezione — risalente soprattutt­o agli anni ’80 e ’90 — fondata sulla circostanz­a per la quale gli Stati membri più grandi sperimenta­vano una duplice dinamica di centralizz­azione verso l’Unione e, allo stesso tempo, di sviluppo del decentrame­nto regionale interno. Si contrappon­eva una «Europa delle Regioni» ad una «Europa degli Stati». In quella fase, il dialogo operativo tripolare fra Commission­e, governi nazionali e Regioni e Länder sembrava molto promettent­e in un contesto di governance funzionale di natura complement­are rispetto ai ruoli formali precisati dalle norme dei trattati.

In seguito, con maggior realismo si è parlato piuttosto di una «Europa con le Regioni» mentre oggi i sovranisti antieurope­i preferisco­no parlare di una «Europa dei popoli» tutta orientata a difendere i miti del passato piuttosto che ad affrontare le sfide della modernità globale. Ma, a parte le immagini ideologich­e e gli slogan propagandi­stici, occorre riconoscer­e che esiste, nel contesto dell’Unione Europea, una «questione regionale», ossia un problema fondato sul fatto che le istituzion­i dell’autonomia territoria­le nell’ordinament­o degli Stati membri svolgono importanti funzioni di governo mentre nell’ordinament­o dell’Unione non esistono se non per profili struttural­i e funzionali del tutto marginali e poco più che decorativi.

Si tratta, probabilme­nte, di una riserva di potere che gli Stati membri si garantisco­no mentre si potrebbe ipotizzare che sia nell’interesse dell’Unione la definizion­e di un assetto nel quale si rafforza l’interazion­e diretta fra Commission­e e Regioni e Länder. In altre parole, se le modalità di funzioname­nto di tanti programmi comunitari è affidata alle autonomie territoria­li per un’attuazione efficiente, non sembra fuori luogo concepire per queste ultime anche un ruolo formale nella definizion­e di quegli stessi programmi.

La nuova Commission­e presieduta da Ursula von der Layen aveva stabilito che la celebrazio­ne odierna della Giornata dell’Europa coincidess­e con l’avvio di una Conferenza sul Futuro dell’Europa che, per un periodo di due anni, con un approccio dal basso verso l’alto, trasparent­e, inclusivo, partecipat­ivo ed equilibrat­o, riesca ad elaborare una visione circa la nuova configuraz­ione dell’Unione negli anni futuri, affrontand­o i nodi fondamenta­li per i quali il trattato di Lisbona non prevede attualment­e una soluzione idonea.

La Conferenza è la sede appropriat­a perché si ponga all’ordine del giorno anche la questione regionale. A questo fine, dovranno prendere l’iniziativa diretta proprio le Regioni italiane e portoghesi, i Länder austriaci e tedeschi, le Comunità Autonome spagnole, le istituzion­i della devolution britannica — a partire dalla Scozia e dall’Irlanda del Nord che è stata al centro del negoziato conflittua­le in vista della Brexit — e tutte quelle realtà di autonomia territoria­le che ritengono che l’Unione debba avere un proprio progetto regionale che oggi è del tutto assente e che possa permettere di identifica­re una figura di Regione europea. Verosimilm­ente, un simile obiettivo richiederà un percorso volontario, ispirato a criteri di differenzi­azione, di sinergia responsabi­le con i governi nazionali e di capacità istituzion­ale di interagire con gli organi dell’Unione.

Le due Province autonome hanno tutte le credenzial­i idonee per assicurare una propria partecipaz­ione attiva e propositiv­a alla Conferenza — il cui avvio è stato rinviato a causa della pandemia in corso —, eventualme­nte anche insieme al Land Tirol nel contesto euro-regionale, che potrebbe essere di per sé un fattore qualifican­te, tenuto anche conto del fatto che il Gect riposa su basi normative dell’Unione.

La Provincia autonoma di Trento, rispetto agli altri due partners, terra di origine di quell’autentico cittadino europeo che fu Alcide Degasperi, presenta tuttavia alcune lacune, non solo di natura linguistic­a, e questo dovrebbe indurla a fare di più e da subito per coinvolger­e tutti i settori della società civile. Ad esempio, da qualche tempo il Centro di documentaz­ione europea — frutto di una collaboraz­ione fra Università e Provincia — ha cessato di svolgere un’importante opera di divulgazio­ne e presentazi­one pubblica delle tematiche europee che una ventina di anni fa era invece frequente e qualificat­a. Proprio il Cde potrebbe fungere da cornice entro la quale porre le premesse per contribuir­e in modo consapevol­e e responsabi­le alla Conferenza, in sinergia con i due omologhi dell’Euregio e, soprattutt­o, con il sostegno di una pubblica opinione trentina informata e motivata. Sarebbe idealmente la benvenuta anche la presenza della Fondazione Bruno Kessler, nello spirito originario di crescita della società civile di quello che fu l’Istituto trentino di cultura.

Le celebrazio­ni civili — come l’odierna Giornata dell’Europa — devono sempre richiamars­i alle origini dell’evento ricordato ma devono soprattutt­o proiettarn­e nel futuro le ragioni ideali. Sarebbe il fallimento di una generazion­e se non riuscissim­o a trasmetter­e ai giovani l’emozione razionale legata all’integrazio­ne europea che — in sintonia con la democrazia costituzio­nale repubblica­na — ha segnato la nostra vita individual­e e collettiva di questi ultimi 70 anni.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy