Digitale, un’agenda per accelerare
Molti vanno sostenendo che da questa emergenza del Coronavirus uscirà un futuro molto diverso da quello che prima si poteva immaginare. È ragionevole pensare che sia così. Le incognite sono molte. Tant’è che il vero tema oggi — al di là della doverosa attenzione ai provvedimenti di aiuto immediato alle famiglie e alle imprese — è aprire una discussione pubblica, seria e sincera, sui nuovi paradigmi che si sono dischiusi e sulle innovazioni sociali ed economiche che essi richiedono.
Ci sono una grammatica sociale e istituzionale e una antropologica che non corrispondono più a quelle di un tempo. E si imporranno dinamiche di riorganizzazione del modo di produrre, vivere, esercitare la partecipazione democratica, imparare, consumare, stare assieme, fare turismo, organizzare città e territori, interpretare il valore della sicurezza sociale, assistere gli anziani, spostarsi e così via, che richiederanno paradigmi radicalmente diversi da quelli conosciuti.
Un punto pare fuori discussione: è necessario potenziare la cultura digitale e le infrastrutture tecnologiche che la supportano. Durante questo lockdown stiamo ricercando un utilizzo generalizzato della Rete: non potendoci muovere da casa, abbiamo dovuto impostare molte nostre relazioni, anche lavorative e di studio e perfino l’esercizio del mandato democratico rappresentativo, su piattaforme digitali. Ma già prima di questa emergenza, la Rete stava diventando il terreno principale — ovviamente, per fortuna, non esclusivo — per una nuova dimensione dei rapporti e delle collaborazioni.
Si percepiva, al fondo, anche una trasformazione più profonda: molte persone ritenevano che attraverso la Rete fosse possibile esprimere al massimo l’istanza «individuale», senza necessità di mediazioni affidate alle tradizionali strutture a ciò preposte. Percezione, questa, da prendere invero con le dovute cautele.
I fenomeni di cambiamento della storia — di questo si tratta — non vanno però giudicati ideologicamente, pur essendone evidenti i rischi: vanno capiti e governati alla luce dei valori di umanesimo e di democrazia che devono sempre rappresentare il faro in ogni evoluzione delle nostre Comunità.
Che cosa deriva da tutto questo per il Trentino? A mio parere, quattro prospettive di lavoro prioritarie. La prima. Riannodare il «filo rosso» che deve connettere la tecnologia con la cultura e con la dimensione sociale. Più potenti sono gli strumenti della tecnologia, più robuste devono essere le basi etiche e culturali con le quali la comunità vi si rapporta, per far sì che siano sempre prevalenti la responsabilità, la dignità e il primato della persona e siano ridotte le disuguaglianze nell’accesso e nel dominio delle nuove opportunità.
Non a caso Bruno Kessler, già fin dall’inizio della vita dell’Istituto trentino di cultura, volle che assieme all’Irst (antesignano della Ricerca in Intelligenza artificiale) fossero sviluppate anche solide iniziative nel campo della ricerca umanistica. Oggi questa sintesi feconda è ancor più attuale e urgente. E ha molto a che vedere con il futuro della nostra democrazia (e della nostra Autonomia). Ragion per cui, personalmente, mi sentirei di suggerire alla Provincia di chiedere a Fbk un supplemento di ruolo su questo fondamentale terreno dell’incontro tra tecnologia e dimensione umanistica e sociale.
La seconda. Completare rapidamente l’infrastrutturazione digitale del Trentino. All’inizio degli anni Duemila era partito un progetto ambizioso, in collaborazione con Telecom, destinato a portare un’enorme capacità di banda in tutte le abitazioni. Quel progetto purtroppo è stato stoppato dalla forte ostilità, anche con ricorsi in sede europea, di altri operatori di mercato. Successivamente, la Provincia, dopo aver concorso nel frattempo a potenziare la Rete Adsl, ha completato il collegamento in fibra con tutte le strutture periferiche della Pubblica amministrazione, mentre — per quanto riguarda l’utenza privata — ha deciso qualche anno fa di aderire al progetto nazionale Open Fiber. Il progetto — in se positivo, tenuto conto delle grandi contraddizioni del sistema italiano — risulta però fortemente in ritardo per quanto riguarda la sua realizzazione in Trentino. E da più parti, anche in queste settimane di lockdown, sono arrivate voci giustamente critiche sulla qualità e sulla estensione delle connessioni.
Occorre immaginare qualche soluzione per accelerare e potenziare questa iniziativa. L’infrastruttura non è «tutto»; contano ovviamente anche i servizi e la cultura degli utenti. Ma senza di essa nulla è possibile. La richiesta di capacità e di capillarità della banda ultra larga è destinata rapidamente a crescere in modo esponenziale. I parametri che solo qualche anno fa sembravano sproporzionati per la normale utenza privata o delle piccole e medie aziende, sono oggi ampiamente ritenuti insufficienti: lo erano anche prima del lockdown. E i territori che non sono pronti, pagano pegno.
Oltretutto, il Trentino è già oggi messo piuttosto bene — come rileva l’Istat — per quanto riguarda la dotazione di personal computer nelle famiglie. Una rete capace e capillare sia nelle città che nelle valli sarebbe dunque di fondamentale importanza per lo sviluppo economico ma anche per la crescita culturale e la diffusione dei servizi. Tra l’altro, pensiamo al ruolo che essa potrebbe avere nel caso (purtroppo non escluso) di nuove emergenze sanitarie o di ritorni di picchi di contagio del Coronavirus. Una più decisa e diffusa digitalizzazione renderebbe anche più sostenibili le iniziative di uscita dalle emergenze.
La terza. Accelerare la transizione al digitale della Pubblica amministrazione. Siamo ancora troppo indietro su questo terreno, nonostante le molte iniziative meritorie adottate sia dalla Provincia che da molti Comuni, in primis quello di Trento. La verità è che, nella Pubblica amministrazione, la scommessa digitale è, prima di tutto, una scommessa di semplificazione e di riorganizzazione delle procedure burocratiche. Digitalizzare il coacervo di procedure delle quali oggi siamo prigionieri non ha alcun senso.
Occorre uno sforzo di «liberazione» e di «semplicità». La transizione al digitale deve essere occasione per questo salto culturale. Altrimenti non ha alcun valore. La produttività del sistema pubblico — dalla quale deriva una buona quota del gap di competitività del nostro sistema rispetto agli altri Paesi europei — e la qualità dei rapporti con i cittadini dipenderanno in larga misura dal coraggio che avremo su questo terreno.
La quarta. Investire sul digitale nel settore privato. Il Trentino ha la fortuna di vantare un significativo settore Ict, che si affianca a importanti realtà di alta formazione e di ricerca in questo settore. Il futuro sarà sempre più legato al ruolo della Intelligenza artificiale (oltre che della biologia). Noi abbiamo buone basi di partenza per anticipare scenari che saranno standard generali tra non molto (e già lo sono nei Paesi più avanti).
Bisogna però che il sistema dell’Università e della Ricerca apra nuove piste comuni in questo settore (anche attraverso una Alta scuola internazionale di Intelligenza artificiale) attirando qui le migliori competenze a livello globale; che la Scuola secondaria superiore costruisca percorsi formativi curvati in questa disciplina (rafforzando la collaborazione ancora troppo episodica con le nostre realtà accademiche e di ricerca); che le imprese operanti nel settore Ict producano grandi progetti comuni nella logica di un vero e proprio Distretto; che tutto il sistema delle imprese (piccole, medie e grandi; di ogni settore produttivo e di servizio) trovi opportunità convenienti per incorporare nella propria dimensione aziendale processi di innovazione basati sulle nuove tecnologie digitali. Non pensiamo solo alla grande industria, ma anche alle tante attività di minore dimensione. E neppure pensiamo solo al settore secondario: l’Intelligenza artificiale avrà un ruolo fondamentale anche nel campo agricolo, del turismo e dei servizi in generale, ivi compresi quelli di welfare.
Nel documento presentato qualche giorno fa dalle minoranze in Consiglio Provinciale vi sono accenni importanti in questo senso. Speriamo che diventino patrimonio condiviso a livello politico-istituzionale e possano essere un capitolo del necessario «patto sociale» per la ripartenza del Trentino su basi nuove.