Il paese della lepre
Nel suo nuovo libro Martinelli ricostruisce con documenti e poesie la storia di Centa San Nicolò tra identità e senso d’appartenenza
Quando, dopo la Seconda guerra mondiale, Centa San Nicolò si stacca da Caldonazzo e torna a essere Comune, si racconta che la gente di Centa sia scesa a Caldonazzo e abbia caricato i carri con verbali e documenti per riportarli in paese: «I ha portà a
casa i cunei», «Hanno riportato a casa i conigli» si disse, riferito alla lepre, animale che compare sullo stemma comunale. E di certo allora ne scorrazzavano ancora molte nei prati e boschi attorno all’abitato, un insediamento sparso, un insieme di masi e piccole frazioni tra loro distanti – un tempo ben trentasei – a coprire l’intero versante orientale della Vigolana a monte di Caldonazzo.
Dal 2016 Centa San Nicolò, assieme a Bosentino, Vattaro e Vigolo Vattaro, rientra nel Comune Altopiano della Vigolana. L’epopea umana di questo paese è raccontata nel libro Il paese della Lepre. Centa San Nicolò, l’incanto
del tempo di Nadia Martinelli (Edizioni Publistampa, 168 pagine, 15 euro).
Un microcosmo geografico raccontato nello scorrere dell’ultimo secolo da Martinelli, assessora al Comune Altopiano della Vigolana, ma soprattutto grande innamorata della sua terra. «Non me ne vado da qui, resto! Mi mancherebbero gli spazi dove respiro, i caprioli che vedo al mattino, le genziane, i gigli rossi, gli asparagi, le brise e la neve d’inverno. Qui anche il bosco si trasforma in silenzio e ti regala pensieri, riflessioni. Qui lavoro, cammino e scrivo. Non posso fare una cosa senza avere vicino le altre», scrive nei ringraziamenti a conclusione del suo libro, una narrazione fatta di ricordi personali, di notizie tratte da documenti, aneddoti e interviste a compaesani per salvare la memoria di questo paese «fatto di case e cuori, di mestieri, di tradizioni che scandiscono il tempo e il ritmo delle stagioni e della vita», scrive Antonella Bragagna nella postfazione.
Una descrizione che vede l’autrice immedesimarsi in quanto scrive, soprattutto nella scelta delle poesie in dialetto trentino. Una volontà forse un po’ nostalgica, ma volta soprattutto a «fermare» pagine di storia come
La sagra di San Rocco, La fontana vecia custode di segreti d’amore, oppure personaggi che avevano un ruolo chiave in paese come il casaro Vittorio, teneri ricordi come i calzetti di lana di pecora di Annamaria.
«Ho scelto di mescolare la poesia alla prosa per una sorta di cabala con dei numeri che si rincorrono – ammette Nadia – sei racconti di donne e sei racconti di mestieri maschili, sei poesie sui fiori, tre sugli alberi e così via e la somma doveva rientrare nel numero sessanta». Nell’appendice un omaggio al poeta-postino Enrico Weiss, «el Richeto baiz» com’era chiamato, che portava lettere, telegrammi nelle case dei Zentanèri e con il quale Nadia era solita condividere la comune passione per la poesia. «Gli scarponi sostenevano il passo / e la sua sporta vissuta. Bonóra / in solitudine saliva ai Masi alti del paese / bussava alle case, / agli usci sgangherati / con il pallore del cielo, / il gelido vento / o il velo di ghiaccio, regalando parole gentili / a qualcuno» (Richeto).
Si cammina così con sentimenti nuovi, lungo i sentieri che costellano il territorio di Centa, dopo aver letto questo libro: si respira un coraggioso senso di comunità del quale Nadia Martinelli si è fatta prima depositaria e poi dispensatrice. «Un patrimonio culturale, un mondo ormai scomparso, ma che merita di non essere dimenticato – scrive –. Le cose sono cambiate, ma non le si può perdere per sempre, e nessuna esperienza, vicenda, nessun valore deve andare perduto».
Nadia Martinelli è presidente dell’associazione «Donne in Cooperazione» di Trento ed è iscritta all’associazione di scrittura creativa Sillabaria di Trento. Parte del ricavato delle vendite del libro contribuirà a finanziare la ristrutturazione della scala del campanile della chiesa di Centa San Nicolò.