Bolzano, riapre oggi la Fondazione Dalle Nogare: le novità della ripartenza Un museo d’avanguardia
Vincenzo de Bellis ha uno sguardo strabico sulla realtà. Forse il migliore, per i tempi che viviamo. Classe 1977, curatore e direttore associato ai programmi del Walker Art Center di Minneapolis e direttore artistico della Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano, tiene insieme due realtà lontanissime, «eppure sorprendentemente simili», sorride.
Proprio la Fondazione bolzanina da oggi ha annunciato la riapertura (ore 1018) di sale espositive e giardino. Il 6 giugno, invece, è confermato l’opening di «Beyond, instead, possible: Robert Barry e la nascita dell’arte concettuale». La casa-galleria di Antonio Dalle Nogare, aperta nel 2011 e diventata fondazione due anni fa, è uno straordinario luogo non solo architettonico (il progetto è di Walter Aragonese con Andrea Marastoni), ma anche punto di riferimento per gli artisti contemporanei. Vincenzo de Bellis lavora a stretto contatto con Dalle Nogare e i due si sono interrogati a fondo sul senso delle macchine espositive contemporanee, dopo la pandemia.
Cosa significa allora lavorare in due centri d’arte così lontani?
«Lavorare a distanza ci è già molto familiare: il mondo dell’arte è sempre molto più grande del luogo dove sei e molto più piccolo del mondo reale. Gli artisti vivono in ogni angolo del mondo e ci si è abituati a lavorare così. E, ad essere sincero, Minneapolis e Bolzano, appartengono sì a due mondi diversi, ma sono anche sorprendentemente molto simili».
In che senso? Cosa li accomuna?
«Bolzano è in un luogo di montagna che è un confine dove si incontrano il mondo tedesco e quello italiano. Non ha grandi città vicine, non è facile da raggiungere. Minneapolis invece è al centro di un piano, ma è lontana dalle altre città, Chicago la più vicina tra i grandi centri è a 7 ore di auto. Per di più ha una lunga storia di migrazioni di lingua tedesca e ancora oggi molti hanno mantenuto la lingua di origine. Ed è una città di confine, al lato del Canada».
La pandemia ha messo in discussione anche gli obiettivi dei centri d’arte.
«In primo luogo si discute su come cambiano i parametri per decretare il
successo di un progetto. Si può avere un grande peso culturale ma non necessariamente folle di visitatori alle mostre. Si può stare geograficamente in un margine, fuori dai baricentri politici ed economici, ma essere estremamente rilevanti.
Quello che conta è la reputazione, la qualità delle proposte, il peso nel dibattito. D’altra parte, lo hanno già dimostrato casi come il Renaissance Society di Chicago o la ICA di Philadelphia. Penso a Vilnius o a Venezia in Europa».
Si giocherà tutto sulla realtà digitale?
«È una questione con più aspetti. Mi chiedo: il virtuale sostituirà l’esperienza dal vivo? Io credo di no. Magari non ora e di sicuro gallerie e musei dovranno cambiare il modo di funzionare e di mostrarsi. Ma tutti cercheremo il luogo fisico, le opere dal vivo. Quello che di sicuro cambierà sarà il modo con cui gli artisti concepiranno le loro opere. Il digitale sta stravolgendo i processi creativi e di produzione: è un salto culturale che coincide con quello generazionale. La sfida, per tutti quelli che lavorano in questo ambito, curatori, galleristi e manager, sarà comprendere i processi creativi delle nuove generazioni».
L’altra questione aperta è come cambia il rapporto tra locale e globale.
«Credo che negli ultimi due decenni ci siamo sforzati tutti ad aprirci e a sentirci parte del globale. E spesso abbiamo dimenticato le comunità dove stiamo. Il che non significa localismo, ma trovare le ragioni delle comunità dove il centro culturale è innestato.
Non esiste un museo asettico che possa stare identico in qualsiasi parte del mondo. Vive perché ha un entroterra, delle radici, delle persone che fanno parte di quel territorio. Non posso fare il
Il virtuale sostituirà l’esperienza diretta? No, anzi: cercheremo tutti il luogo fisico, le opere dal vivo, ora
curatore a Minneapolis senza immergermi tra le comunità afro-americane, somale e native. Non può esistere la Fondazione Antonio Dalle Nogare se il suo fondatore e il suo staff, le ragioni di quella scelta, non fossero parte nel tessuto di Bolzano. Mantenere quel puntoforza sarà la scelta vincente».