SANITÀ, UNA RIORGANIZZAZIONE CHE IMPLICA COSTI NOTEVOLI
La narrazione che si scontra con la realtà
La epidemia da Covid ha attivato un vasto movimento d’opinione, raccolto dalla classe politica, teso al potenziamento del Servizio sanitario nazionale. Si parla di aumentare i posti di terapia intensiva e potenziare il territorio (un mantra): la possibilità di accedere a finanziamenti europei mirati ha messo le ali ai piedi alla narrazione.
Il ministro Speranza ha dichiarato che i letti intensivi negli ospedali saranno aumentati di 3000 unità (dai 5000 esistenti) e che si prospetta la istituzione dell’infermiere di quartiere (come fu fatto per il carabiniere): si parla della assunzione di 10.000 infermieri. Orbene, facendo due conti, è doveroso precisare che 3000 posti intensivi in più comportano per la assistenza circa 9000 infermieri e con questa iniziativa già la partita risorse si chiude: lo stock di assunzioni sarebbe completamente assorbito per tale progetto.
Come ho già avuto modo di scrivere, nelle realtà ospedaliere del Nord il problema dei letti di rianimazione, fatta certo eccezione del grave momento di acuzie collegato alla epidemia, non si è mai posto in maniera particolare: tutti stanno assistendo invece alla rapida progressiva riduzione dei ricoveri intensivi. Lo stesso ospedale/fiera di Milano, tanto declamato, è rimasto vuoto: si dice pronto per la fase di recrudescenza del virus. Fatti i dovuti scongiuri, semmai è opportuno organizzarsi in modo che, di fronte a un altro evento come quello accaduto, si sia in grado di attivare al bisogno i posti necessari per ricoverare i casi gravi. È possibile un ritorno di fiamma della epidemia, ma esperti di quanto avvenuto dovrebbe essere ripetibile l’attivazione, riuscita, di nuovi posti. Un conto è attivare in maniera flessibile, al bisogno, i letti necessari e un conto è fare un intervento definitivo, strutturale, con costi di gestione fissi ed assai alti.
Non dimentichiamo che in sanità offerta fa domanda e ogni iniziativa dovrebbe partire con un programma che ne definisca costi e benefici. Tra l’altro l’obiettivo sul territorio è di intercettare i casi ed iniziarne la cura prima che si aggravino e richiedano ricoveri intensivi. A seguire inoltre occorrono, stando molto molto risicati, oltre 1000 anestesisti-rianimatori. Questi sono i conti. Il problema, già prima del Covid, era di trovare anestesisti sul mercato. Improvvisamente dovremmo trovarne in aggiunta oltre 1000. A monte di queste osservazioni, last but not least, sembra rimasto inevaso il problema dell’adeguamento delle borse di studio per medici specialisti, da cui discende la ben nota carenza, palese ormai in molte realtà regionali.
L’altra proposta, l’infermiere di quartiere, va collocata in un progetto meditato e razionale, oggi assente. Gli infermieri sul territorio sono impegnati nella assistenza a pazienti al domicilio ed operano in collaborazione con i medici di famiglia: le cure domiciliari sono un pozzo senza fondo che assorbe risorse e ne assorbirà, se ve ne saranno, ancora di più in futuro, come ogni settore della sanità. I servizi di igiene sono praticamente assenti sul territorio, come è emerso nelle recenti vicende. L’eventuale inserimento di forze fresche, di per sé giusto, deve garantire personale in grado di fare assistenza domiciliare e di operare anche nel campo della prevenzione e, al bisogno, di intervenire in caso di epidemia nelle indagini che sono la base per il contenimento del morbo. Investimenti e nuove risorse devono necessariamente rispondere a flessibilità ed efficienza, non possiamo permetterci di attivare sull’onda della emotività servizi che operino in stand by e che non garantiscano buoni risultati di salute: le poche risorse a disposizione vanno usate evitando sprechi, che non ci possiamo permettere (è tutto in debito). Prima di esporre un progetto, sarà bene che sia preparato con cura e che si facciano due conti, senza dimenticare che vi possono essere ancora all’interno del SSN sacche di inefficienza e possibili recuperi, peraltro sempre più rari. Di certo abbiamo una classe politica più dispensatrice che razionalizzatrice e la confusione tra ministero e regioni non promette affatto bene.
Per concludere, è di alcuni giorni fa la notizia che si stanno assumendo 600 assistenti sociali che collaborino con il personale dei team dedicati alle indagini sul territorio in corso di epidemia: ecco, mi spiace per la categoria, mi pare sia un’iniziativa poco comprensibile. Continuiamo a farci del male.