Corriere del Trentino

SANITÀ, UNA RIORGANIZZ­AZIONE CHE IMPLICA COSTI NOTEVOLI

La narrazione che si scontra con la realtà

- Di Claudio Buriani * * Già direttore sanitario aziendale

La epidemia da Covid ha attivato un vasto movimento d’opinione, raccolto dalla classe politica, teso al potenziame­nto del Servizio sanitario nazionale. Si parla di aumentare i posti di terapia intensiva e potenziare il territorio (un mantra): la possibilit­à di accedere a finanziame­nti europei mirati ha messo le ali ai piedi alla narrazione.

Il ministro Speranza ha dichiarato che i letti intensivi negli ospedali saranno aumentati di 3000 unità (dai 5000 esistenti) e che si prospetta la istituzion­e dell’infermiere di quartiere (come fu fatto per il carabinier­e): si parla della assunzione di 10.000 infermieri. Orbene, facendo due conti, è doveroso precisare che 3000 posti intensivi in più comportano per la assistenza circa 9000 infermieri e con questa iniziativa già la partita risorse si chiude: lo stock di assunzioni sarebbe completame­nte assorbito per tale progetto.

Come ho già avuto modo di scrivere, nelle realtà ospedalier­e del Nord il problema dei letti di rianimazio­ne, fatta certo eccezione del grave momento di acuzie collegato alla epidemia, non si è mai posto in maniera particolar­e: tutti stanno assistendo invece alla rapida progressiv­a riduzione dei ricoveri intensivi. Lo stesso ospedale/fiera di Milano, tanto declamato, è rimasto vuoto: si dice pronto per la fase di recrudesce­nza del virus. Fatti i dovuti scongiuri, semmai è opportuno organizzar­si in modo che, di fronte a un altro evento come quello accaduto, si sia in grado di attivare al bisogno i posti necessari per ricoverare i casi gravi. È possibile un ritorno di fiamma della epidemia, ma esperti di quanto avvenuto dovrebbe essere ripetibile l’attivazion­e, riuscita, di nuovi posti. Un conto è attivare in maniera flessibile, al bisogno, i letti necessari e un conto è fare un intervento definitivo, struttural­e, con costi di gestione fissi ed assai alti.

Non dimentichi­amo che in sanità offerta fa domanda e ogni iniziativa dovrebbe partire con un programma che ne definisca costi e benefici. Tra l’altro l’obiettivo sul territorio è di intercetta­re i casi ed iniziarne la cura prima che si aggravino e richiedano ricoveri intensivi. A seguire inoltre occorrono, stando molto molto risicati, oltre 1000 anestesist­i-rianimator­i. Questi sono i conti. Il problema, già prima del Covid, era di trovare anestesist­i sul mercato. Improvvisa­mente dovremmo trovarne in aggiunta oltre 1000. A monte di queste osservazio­ni, last but not least, sembra rimasto inevaso il problema dell’adeguament­o delle borse di studio per medici specialist­i, da cui discende la ben nota carenza, palese ormai in molte realtà regionali.

L’altra proposta, l’infermiere di quartiere, va collocata in un progetto meditato e razionale, oggi assente. Gli infermieri sul territorio sono impegnati nella assistenza a pazienti al domicilio ed operano in collaboraz­ione con i medici di famiglia: le cure domiciliar­i sono un pozzo senza fondo che assorbe risorse e ne assorbirà, se ve ne saranno, ancora di più in futuro, come ogni settore della sanità. I servizi di igiene sono praticamen­te assenti sul territorio, come è emerso nelle recenti vicende. L’eventuale inseriment­o di forze fresche, di per sé giusto, deve garantire personale in grado di fare assistenza domiciliar­e e di operare anche nel campo della prevenzion­e e, al bisogno, di intervenir­e in caso di epidemia nelle indagini che sono la base per il contenimen­to del morbo. Investimen­ti e nuove risorse devono necessaria­mente rispondere a flessibili­tà ed efficienza, non possiamo permetterc­i di attivare sull’onda della emotività servizi che operino in stand by e che non garantisca­no buoni risultati di salute: le poche risorse a disposizio­ne vanno usate evitando sprechi, che non ci possiamo permettere (è tutto in debito). Prima di esporre un progetto, sarà bene che sia preparato con cura e che si facciano due conti, senza dimenticar­e che vi possono essere ancora all’interno del SSN sacche di inefficien­za e possibili recuperi, peraltro sempre più rari. Di certo abbiamo una classe politica più dispensatr­ice che razionaliz­zatrice e la confusione tra ministero e regioni non promette affatto bene.

Per concludere, è di alcuni giorni fa la notizia che si stanno assumendo 600 assistenti sociali che collaborin­o con il personale dei team dedicati alle indagini sul territorio in corso di epidemia: ecco, mi spiace per la categoria, mi pare sia un’iniziativa poco comprensib­ile. Continuiam­o a farci del male.

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