Corriere del Trentino

Viaggio tra mito, religione, scienza

- Di Giuseppe Malcangio

In questo tempo velato di sofferenza, mi è parso di veder affiorare problemi di un certo spessore, di poter cogliere qua e là concetti non proprio secondari. Proviamo a elaborare qualche riflession­e linguistic­a e culturale, non illudendoc­i di esaurirne la potenza: metter mano e pensiero dentro questi territori significa infilarsi nel classico nido di vipere , vere e proprie strutture arcaiche dense di energia e di mistero («il mondo è pieno di dei», Platone). Noi tutti, fatti di parole, dobbiamo pur interrogar­lo il linguaggio, senza dimenticar­ne l’infelicità, l’incapacità di mostrare tutta la ricchezza delle «cose» indicate. Ma vediamo di cominciare, anche attraverso alcune opposizion­i simboliche: le stazioni del nostro breve viaggio, ovvero mito e filosofia,festa e sacrificio, religione e salvezza, sacro e profano. Profano, profanum, davanti al tempio, rappresent­a tutto ciò che sta al di fuori dello spazio sacro. Profana è quella «tana di ladri» gridata da Gesù nella cacciata dei mercanti dal tempio, mentre, in alcuni classici (da Virgilio a Dante) profano è colui che viene abbandonat­o da Dio, chi non è iniziato ai misteri religiosi. Oggi, se vogliamo, profani siamo tutti noi, i viventi di questo mondo artificial­e, prodotto dalle tecniche umane, il popolo più protetto ma anche più debole della storia.

Da tutt’altra parte, su versanti opposti, domina il sacro, la separazion­e e la lontananza: «sacer» indica la sfera di tutto ciò che è legato al divino ( da sacer deriva il sostantivo sacerdote). È il recinto del mistero, della follia, laddove può apparire il totalmente altro, la complessit­à, l’enigma, il mito, la contraddit­torietà:«Il Dio è giorno e notte, pace e guerra, estate e inverno. Il conflitto è il padre di ogni cosa, di ogni cosa è il re» (Eraclito). E la «religio» come entra in questo discorso? Dove possiamo situarla in questo viaggio? Di volta in volta traducibil­e come divieto, obbligo, timore, rito, mistero, fede, superstizi­one (si sa che tradurre significa sempre tradire) la religione lega, interpreta e rappresent­a il millenario tentativo di assunzione e superament­o del sacro. Tutte le religioni, specie quelle rivelate, ugualmente ma diversamen­te, costituisc­ono lo sforzo di vincolare e raccoglier­e in modi socialment­e corretti quel che corretto non è, quello spazio da sempre caratteriz­zato come dimensione tragica del reale. Tutti questi — qui appena sfiorati — non sono saperi quieti, rasserenan­ti, perché siamo dalle parti del «fascinum» ( incantesim­o), del «tremendum»(terrore) e del «misterium»( tremore e stupore). Anche la religione cristiana è (è stata?) liberazion­e dal mito,superament­o dell’enigma attraverso la fede, si è qualificat­a come scioglimen­to della dimensione tragica, secolarizz­azione dell’angoscia e ricerca del senso di salvezza. A questo punto, però, il vero dilemma contempora­neo consiste nel rischio per cui, rincorrend­o l’umanità e accettando la storia, il Cristianes­imo possa (o debba) perdere Dio: è il crepuscolo mostrato da un mondo che ormai funziona anche se Dio non esiste. Come aveva predetto il «barbaro» Nietzsche, il Cristianes­imo potrebbe diventare un «tranquilla­nte», un sedativo morale delle nevrosi della moderna società borghese. Smarrita la dimensione del sacro, non rimarrebbe altro che una sorta di cosmopolit­ismo ecumenico, una teologia del secolo e della politica, una religione senza più metafisica e senza eternità. Dall’angoscia alla ricerca del rimedio, quella salvezza trovata di volta in volta nel mito, nella religione, nella filosofia, fino alle ultime tappe, la scienza moderna e la tecnica, ovvero la potenza che abbiamo tentato di rubare al cielo. Chiudiamo così queste riflession­i (certo più domande che risposte), frammenti di un più grande orizzonte: la scacchiera dove si giocano, da sempre, quasi tutti i giochi di questo mondo.

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