Viaggio tra mito, religione, scienza
In questo tempo velato di sofferenza, mi è parso di veder affiorare problemi di un certo spessore, di poter cogliere qua e là concetti non proprio secondari. Proviamo a elaborare qualche riflessione linguistica e culturale, non illudendoci di esaurirne la potenza: metter mano e pensiero dentro questi territori significa infilarsi nel classico nido di vipere , vere e proprie strutture arcaiche dense di energia e di mistero («il mondo è pieno di dei», Platone). Noi tutti, fatti di parole, dobbiamo pur interrogarlo il linguaggio, senza dimenticarne l’infelicità, l’incapacità di mostrare tutta la ricchezza delle «cose» indicate. Ma vediamo di cominciare, anche attraverso alcune opposizioni simboliche: le stazioni del nostro breve viaggio, ovvero mito e filosofia,festa e sacrificio, religione e salvezza, sacro e profano. Profano, profanum, davanti al tempio, rappresenta tutto ciò che sta al di fuori dello spazio sacro. Profana è quella «tana di ladri» gridata da Gesù nella cacciata dei mercanti dal tempio, mentre, in alcuni classici (da Virgilio a Dante) profano è colui che viene abbandonato da Dio, chi non è iniziato ai misteri religiosi. Oggi, se vogliamo, profani siamo tutti noi, i viventi di questo mondo artificiale, prodotto dalle tecniche umane, il popolo più protetto ma anche più debole della storia.
Da tutt’altra parte, su versanti opposti, domina il sacro, la separazione e la lontananza: «sacer» indica la sfera di tutto ciò che è legato al divino ( da sacer deriva il sostantivo sacerdote). È il recinto del mistero, della follia, laddove può apparire il totalmente altro, la complessità, l’enigma, il mito, la contraddittorietà:«Il Dio è giorno e notte, pace e guerra, estate e inverno. Il conflitto è il padre di ogni cosa, di ogni cosa è il re» (Eraclito). E la «religio» come entra in questo discorso? Dove possiamo situarla in questo viaggio? Di volta in volta traducibile come divieto, obbligo, timore, rito, mistero, fede, superstizione (si sa che tradurre significa sempre tradire) la religione lega, interpreta e rappresenta il millenario tentativo di assunzione e superamento del sacro. Tutte le religioni, specie quelle rivelate, ugualmente ma diversamente, costituiscono lo sforzo di vincolare e raccogliere in modi socialmente corretti quel che corretto non è, quello spazio da sempre caratterizzato come dimensione tragica del reale. Tutti questi — qui appena sfiorati — non sono saperi quieti, rasserenanti, perché siamo dalle parti del «fascinum» ( incantesimo), del «tremendum»(terrore) e del «misterium»( tremore e stupore). Anche la religione cristiana è (è stata?) liberazione dal mito,superamento dell’enigma attraverso la fede, si è qualificata come scioglimento della dimensione tragica, secolarizzazione dell’angoscia e ricerca del senso di salvezza. A questo punto, però, il vero dilemma contemporaneo consiste nel rischio per cui, rincorrendo l’umanità e accettando la storia, il Cristianesimo possa (o debba) perdere Dio: è il crepuscolo mostrato da un mondo che ormai funziona anche se Dio non esiste. Come aveva predetto il «barbaro» Nietzsche, il Cristianesimo potrebbe diventare un «tranquillante», un sedativo morale delle nevrosi della moderna società borghese. Smarrita la dimensione del sacro, non rimarrebbe altro che una sorta di cosmopolitismo ecumenico, una teologia del secolo e della politica, una religione senza più metafisica e senza eternità. Dall’angoscia alla ricerca del rimedio, quella salvezza trovata di volta in volta nel mito, nella religione, nella filosofia, fino alle ultime tappe, la scienza moderna e la tecnica, ovvero la potenza che abbiamo tentato di rubare al cielo. Chiudiamo così queste riflessioni (certo più domande che risposte), frammenti di un più grande orizzonte: la scacchiera dove si giocano, da sempre, quasi tutti i giochi di questo mondo.