Monte Baldo, storie e misteri
Tra scheletri e vulcani: Neri, Marogna e Vernaccini svelano enigmi e itinerari
Pubblichiamo un estratto del capitolo «Il cacciatore di marmotte/ Il mistero della Brodeghera» tratto dal libro Storie del Monte Baldo e del suo lago di Mauro Neri, Maurizio Marogna, Silvia Vernaccini .
Estate di 2.500 anni fa circa, quasi in vetta al Monte Alto. Astòr se ne sta in ginocchio sull’orlo del pozzo, un buco nero da cui esce un fiotto d’aria gelida che gli accarezza i capelli e gli asciuga la fronte imperlata di sudore, regalandogli un po’ di refrigerio dopo la fatica della salita. Il giovane cacciatore non riesce a capire da dove possa provenire quel fiotto d’aria, quasi fosse il respiro gelato di un qualche mostro malvagio. Allunga il collo, allora, e annusa quell’aria che gli ricorda i mesi bianchi che portano freddo, pioggia candida e tante pericolose malattie. «E la mia marmotta dov’è?» si domanda il giovane guardandosi intorno e vedendo solo nebbia grigia. «Forse si è infilata nella grotta»...
Nago, Monte Altissimo (1.950 m), domenica 17 ottobre 1976. «Si sa qualcosa di questo pozzo?» domanda Oliviero, che dei tre è quello addetto alle fotografie.
«Mah, ci sono alcune storie strane sulla grotta» risponde Luigi. «I montanari di qui dicono ad esempio che sia in realtà il camino di un vulcano che scende perpendicolare verso il basso, nel cuore dell’Altissimo, per fermarsi al livello del lago di Garda...».
«In realtà» puntualizza Gigi «si tratta di un pozzo pieno di neve fossile, un profondo tappo gelato che fino a oggi ha reso impossibile qualsiasi visita!»…
Riva del Garda, cittadina lacustre lambita dall’inconfondibile contorno del Monte
Brione, si dispiega panoramica sul Monte Baldo. Da quaggiù c’è modo di ammirare l’Altissimo, scenario della tragica avventura di Astòr, ma se entrate nella Rocca, massiccio castello medievale modificato nei secoli circondato dall’acqua, riuscite a vedere da vicino quanto i tre speleologi in quell’ottobre del 1976 sono riusciti a scoprire e poi recuperare. Qui ha infatti sede il Museo di Riva del Garda, uno spazio espositivo del Museo Alto Garda-MAG (l’altro è la Galleria Civica G. Segantini di Arco), la cui sezione archeologica ospita reperti provenienti da scavi nell’Alto Garda e Ledro datati dal Paleolitico medio (12000-3300 a.C.) fino all’età tardo altomedievale (VII-VIII secolo d.C.). Partendo dalla sala con le statue stele, «gli uomini di pietra» del IV millennio, si passa agli insediamenti dell’età del Bronzo fino a giungere alla ricostruzione della nostra Busa Brodeghera con lo scheletro di Astòr; l’esposizione prosegue con gli insediamenti dell’età del Ferro e romana di San Martino di Campi e soprattutto con le testimonianze di epoca romana nella piana del Basso Sarca (www.museoaltogarda.it; tel. 0464 573869).
L’utilizzo delle grotte nel corso della storia, in Trentino così come in altre regioni dell’arco alpino, è testimoniato inizialmente quale riparo e luogo di sepoltura; covoli o aperture sottoroccia poco accessibili dal fondovalle vengono poi abitate e fortificate con funzioni difensive, mentre in epoca medioevale compaiono le grotte abitate da eremiti, prossime magari a qualche chiesa. La Busa della Brodeghera forse da bordiga, bordo, è in realtà una galleria in verticale posta a 1.950 metri di quota, poco distante la Cima dell’Altissimo: di fatto è anche chiamata El bus de la nef. Di pozzi della neve ne esistono molti in Trentino (...). Ed è proprio a causa di quell’estate particolarmente calda del 1976 che il gruppo di speleologi della Sezione di Rovereto – Oliviero Smaniotto, Luigi Bailoni e Luigi Giacomoni – approfittando dello sciogliersi della neve portano a termine con successo l’esplorazione della Busa, iniziata dai colleghi della Sat di Rovereto ancora nel 1929. Scendono dunque fino a 75 metri e il loro stupore è grande di fronte al ritrovamento di quello scheletro che, studi successivi, diranno appartenere a un uomo di circa vent’anni, alto 160 centimetri, con un difetto congenito a una gamba, vissuto 2.500 anni fa, quindi in età retica. Risulta poco probabile quindi l’ipotesi di una sepoltura, (...) le genti retiche usavano la cremazione. Per la datazione ci viene in aiuto il coltello da caccia in ferro il cui fodero è analogo a quello raffigurato su un frammento di situla proveniente da Welzelach (Austria). Il perché Astòr sia finito in questa cavità rimane comunque un mistero.
La scoperta Scendono dunque fino a 75 metri e il loro stupore è grande di fronte a quel ritrovamento