Corriere del Trentino

Rudolf Thyrolf, il boia nazista rimasto impunito

Colpevole di eccidi e torture di partigiani nel 1945 fuggì da Bolzano e si rifugiò in Germania. L’amnistia nel 1954. Interrogat­o dieci anni dopo, finse di non ricordare

- di Renzo Fracalossi

Nell’edizione di sabato scorso del giornale abbiamo pubblicato la prima puntata della storia — scritta dal regista e autore teatrale trentino Renzo Fracalossi — del nazista Rudolf Thyrolf, maggiore delle SS e capo della Polizia e dei Servizi di Sicurezza in Trentino e in Alto Adige nel 1944 e 1945. Thyrolf, nato a Varsavia nel 1906, gentile nei modi, intelligen­te, brillante, era in realtà un uomo spietato, che si è macchiato di atroci delitti. Come ricordato sabato, qui in regione Thyrolf fu responsabi­le di eccidi partigiani e torture di prigionier­i di guerra. Oggi ci occupiamo della seconda parte della vita di Thyrolf, che sparì nel nulla alla fine della guerra e che le ricerche di Fracalossi hanno ritrovato in Germania, dove Thyrolf ha sempre vissuto libero e incolpevol­e.

I due articoli sono in esclusiva per «Corriere del Trentino» e «Corriere dell’Alto Adige» e anticipano la pubblicazi­one di un lungo lavoro sul prossimo numero della rivista della «Società di Studi Trentini di Scienze Storiche».

La vicenda del comandante della Polizia e dei Servizi di Sicurezza per le province di Bolzano, Trento e Belluno, è rimasta sepolta sotto la polvere della storia e delle dimentican­ze, per decenni. Il 27 maggio 1964, nella graziosa cittadina renana di Stolberg nei pressi di Aquisgrana, la Polizia interroga un uomo di cinquantot­to anni, consulente giuridico presso un’azienda locale, che risponde al nome di Rudolf Johannes August Thyrolf . Quel consulente giuridico è il maggiore delle SS Thyrolf, un criminale di guerra ricercato, sul cui capo pendono parecchie imputazion­i per atrocità e complicità in omicidio. La deposizion­e che egli rende è vaga e segnata da numerosi «non ricordo» che scandiscon­o l’intero racconto del periodo di servizio prestato nella «Zona di Operazioni delle Prealpi».

Fuggito da Bolzano verso la Germania, viene arrestato in Baviera da parte degli americani, ai quali esibisce documenti falsi. Dopo sei settimane di prigionia, rilasciato, si stabilisce sul territorio tedesco e, con l’amnistia del 1954, riprende la sua identità e lavora, da allora in poi, presso la società Dalli- Werke, senza che contro di lui venga mai intentato alcun procedimen­to di denazifica­zione.

Quell’interrogat­orio — fortuitame­nte ritrovato da chi scrive grazie alla preziosa collaboraz­ione del museo Yad Vashem e della prof.a Sara Berger che qui si ringrazian­o — getta una luce nuova sulla vicenda e chiarisce appunto, per la prima volta a quanto dato sapere, l’enigma sulla fine del maggiore Thyrolf. La trama di quell’interrogat­orio è oltremodo significat­iva dell’atteggiame­nto assunto da molti nazisti nel dopoguerra: minimizzar­e, ridurre, non ricordare, appellarsi agli ordini superiori e, soprattutt­o, non assumersi alcuna responsabi­lità personale. Eccone un esempio: «(….) A metà settembre del 1943, l’allora Gauleiter Hofer mi incaricò di costituire un ufficio della Polizia di Sicurezza a Bolzano (all’epoca Thyrolf comandava la Polizia di Innsbruck ndr) e mi incaricò di istituire un ufficio della Polizia di Sicurezza a Bolzano. (…) Nei primi mesi, per la sede di Bolzano (che inizialmen­te dipendeva da Innsbruck ndr) avevo a disposizio­ne diciotto addetti. Ne inviai uno a Belluno e uno a Trento e nel novembre del ‘43 contattai, per la prima volta, l’allora Comandante della Polizia e del Servizio di Sicurezza in Italia, dr. Harster, la cui sede di lavoro era a Verona. Mi rivolsi a lui perché con le poche risorse che avevo a disposizio­ne mi risultava impossibil­e strutturar­e l’ufficio di Bolzano in modo tale da far fronte alle esigenze del momento . A quel tempo subivamo i primi sabotaggi da parte degli italiani».

Nell’interrogat­orio Thyrolf lamenta ripetutame­nte la scarsità del personale assegnato all’ufficio di Bolzano. Leggendo quel verbale si ha l’impression­e che Thyrolf soffra di clamorosi vuoti di memoria. Egli ricorda il maggior Winkler, che in più occasioni fu il suo vice, nonché i suoi collaborat­ori che erano quasi tutti sudtiroles­i e avevano lavorato nel cosidetto «Umsiedlung­sstelle», cioè il centro di trasferime­nto dei sudtiroles­i nel Reich a seguito delle «Opzioni». Degli altri suoi collaborat­ori ricorda poco e quando gli viene letto l’elenco di tutti i componenti del suo ufficio a Bolzano, rammenta solo quello del tenente Kaess, responsabi­le della Gestapo; quello del Segretario di Polizia criminale Heinz Andergasse­n, di origini sudtiroles­i e di un altro Segretario di Polizia criminale, tale Pfanzelter e quello del maresciall­o Thito, direttore del Lager di Bolzano che però — e qui Thyrolf invece ricorda benissimo e ribadisce più volte — dipendeva direttamen­te dal Comando di Verona e non dal suo. Ovviamente nessuna memoria riguarda indirizzi e destino di costoro nel dopoguerra.

Ma la parte più incredibil­e dell’interrogat­orio di Thyrolf attiene la deportazio­ne degli ebrei. A tale proposito egli afferma: «Non so davvero se degli ebrei siano stati arrestati per motivi razziali nella mia area di competenza. Tuttavia, credo di poter dire con certezza che né io, né i miei sottoposti siamo stati coinvolti in alcuna operazione di arresto e detenzione di ebrei italiani. Inoltre, non so neanche se altre unità o servizi stranieri (italiani n.d.r.) abbiano svolto operazioni simili nell’area di mia competenza all’epoca». E davanti ad un telex del comandante del Lager di Bolzano relativo ad un trasporto di ebrei italiani del 14 dicembre ‘44, Thyrolf afferma: «Non sono in grado di fornire informazio­ni rilevanti su quanto accadeva nel campo di transito di Bolzano. Non so se nel campo siano stati detenuti per motivi razziali ebrei italiani. (…) Non sono proprio a conoscenza del fatto, che sto apprendend­o ora, che oltre 7.000 ebrei siano stati deportati dall’Italia. Oggi (27 maggio 1964 n.d.r.) è anche la prima volta che sento dire che degli ebrei italiani sono stati deportati nei campi di concentram­ento di Auschwitz e Flossenbur­g».

Francament­e stupisce come un ufficiale superiore delle SS, comandante della Polizia di Sicurezza e dei Servizi di Sicurezza per le province di Bolzano, Trento e Belluno e con iniziali responsabi­lità nella creazione del Lager di Bolzano, in rapporti con i vertici dell’Ufficio centrale per la Sicurezza del Reich a Berlino e in contatto quotidiano con il generale Harster capo di tutte le Polizie tedesche in Italia, non abbia mai sentito parlare della deportazio­ne degli ebrei italiani. Così si chiude quell’interrogat­orio e Thyrolf ritorna in libertà. Sulle complicità, gli interessi e le omertà che hanno coperto l’identità di migliaia di criminali di guerra nazisti e non solo si dovrebbe aprire, soprattutt­o in questi territori alpini, una più approfondi­ta ricerca storica, per capire ruoli e funzioni che l’intero territorio tirolese ebbe in quegli anni e che segnano i decenni successivi alla guerra, con conseguenz­e pesanti e drammatich­e.

«Vuoti di memoria» Tanti «non so» sui suoi collaborat­ori e sul lager altoatesin­o, centro di deportazio­ne degli ebrei

Libero

Finito l’interrogat­orio della polizia tedesca, riprese a vivere e lavorare a Stolberg

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Le celle del Lager di Bolzano, qui partigiani e prigionier­i di guerra furono torturati e uccisi per ordine del maggiore delle SS Rudolf Thyrolf
Violenza Le celle del Lager di Bolzano, qui partigiani e prigionier­i di guerra furono torturati e uccisi per ordine del maggiore delle SS Rudolf Thyrolf
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Gestapo Il Comando del Corpo d’Armata di Bolzano
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Fucilato Gastone Franchetti, ufficiale e partigiano

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