Corriere del Trentino

DON MARCELLO, LA BELLEZZA DELLE PAROLE

- Di Paolo Ghezzi

La bellezza delle parole umane, della filosofia, della teologia, della storia, sono un tratto della personalit­à di don Marcello Farina.

Se c’è una cosa che Marcello Farina — domani riceverà l’Aquila di San Venceslao della città di Trento — ha insegnato alle decine di migliaia di trentine e trentini che ha incontrato nei suoi lunghi decenni di appassiona­to insegnamen­to e di altrettant­o appassiona­ta scrittura, è la bellezza delle parole umane, della filosofia, della teologia, della storia: delle scritture umane e di quelle che si chiamano sacre ma sono sacre proprio perché raccontano le storie degli uomini e l’amore che li lega a quell’essere-oltre-iltempo che alcuni chiamano Dio.

Don Marcello, il professor Farina, è stato un maestro perché a sua volta ha sempre dichiarato — con abbondanza di avvolgenti citazioni — i suoi maestri, da Emmanuel Levinas a David Maria Turoldo, da Bonhoeffer a don Milani, non dimentican­do (fatto raro, per un uomo) grandi donne come Arendt, Hillesum, Zambrano.

Grazie a Donatello Baldo, che l’ha intervista­to sul Corriere del Trentino del 7 luglio, ci ha regalato un dettaglio rivelatore: Marcello ha fatto il barista a Martignano, da giovane, e anche questo gli deve aver insegnato l’indulgenza verso l’imperfezio­ne degli esseri umani («se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo»). E la passione per un Vangelo che è umanità, prima di religione. Liberazion­e dalla servitù, dalla paura: verso il potere, verso la morale.

Nel libro «Da tutti si può imparare» (Il Margine, 2014), tra i dodici maestri e maestre della sua vita, Farina ha evocato una delle voci più radicali e profetiche del Novecento, Simone Weil, ebrea esploratri­ce del cristianes­imo, morta a 34 anni nel 1943 dopo essere stata operaia, filosofa, mistica e partigiana. Farina la descrive così: «Senza imbarazzi espressivi e nel segno di una parresia («franchezza») a tutto campo nella sua ricerca spirituale».

Sembra un autoritrat­to dello stesso don Farina. Con toni più soavi e ironici ma con la stessa forza dell’altro giovanissi­mo ottantenne Alex Zanotelli (intervista­to sul Corriere del Trentino di sabato 18 luglio) don Marcello pratica la preziosa e poco diffusa arte della parresia evangelica: il dire chiaro, il dire tutto, il dire in faccia.

Scriveva Simone Weil: «Noi viviamo in un’epoca che non ha precedenti, e che esige un certo tipo di “santità”, anch’essa senza precedenti. Essa deve scaturire d’improvviso, come un’invenzione, e mettere a nudo tutta la verità e le bellezza che sono nel mondo, nascoste sotto strati di polvere e di marciume». Ecco, la farina di Marcello è l’antidoto alla polvere e al marciume, anche a quello di una religione ridotta a ipocrisia. Per questo lo chiamano spessissim­o ai funerali, anche a quelli non religiosi: perché Marcello trova le parole giuste per impastare il pane dell’accompagna­mento finale, spezzando la sua parola come alimento e linimento per i dolori, cogliendo la scintilla esistenzia­le di chi non c’è più, con la sua voce che è consolazio­ne, terapia, rivelazion­e.

Nella sua prodigiosa «Valle dell’Eden», John Steinbeck diceva della maestra Olive Hamilton: «Tutta la luce e la bellezza che poteva cacciare in gola ai suoi allievi, ce la cacciava». Potrebbe essere un buon sigillo anche per il sigillo di Trento a don Marcello Farina. Sì, luce e bellezza delle parole regalate a chi sa ascoltare.

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