Corriere del Trentino

Mistero nebbia interpreta­to da dieci artisti

Tra Canale di Tenno e Colorno, opere ispirate alle foschie padane

- di Gabriella Brugnara

Nebbia come mistero, inquietudi­ne, precarietà. Nebbia come luogo d’incontro con i sospesi della nostra interiorit­à, ma anche come senso di limite e impulso a uscirne per osservarla con la pacatezza della lontananza, quando finalmente ne siamo fuori.

Una dimensione, quest’ultima, che a chi frequenta la montagna capita di sperimenta­re. Una salita dal fondo valle con il grigiore umido che si sente pesare addosso, quindi lo sbucare d’improvviso in un inatteso azzurro: in basso la nebbia sembra un mare, proietta in uno stato di sospension­e, di perdita di ogni orientamen­to. Un sentire che il Viandante sul mare di nebbia del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich trasmette con impareggia­bile capacità evocativa.

La nebbia in questo senso diventa anche tratto d’unione tra basso e alto, tra pianura e montagna, che si fondono in un ideale intreccio. Da questo incontro prende forma «Nebbie. Al di là del fiume, tra i monti», la mostra nata in occasione di Parma capitale italiana della cultura 2020 e dall’idea delle nebbie come elemento comune alle alte quote e alla pianura.

Due i collettivi di artisti che espongono, in rappresent­anza dei due luoghi: quello del Trentino-Alto Adige e quello padano. Il collettivo del Trentino-Alto Adige espone alla Casa degli Artisti «Giacomo Vittone» a Canale di Tenno fino al 15 novembre; successiva­mente entrambi i collettivi saranno visibili alla Reggia di Colorno nell’Appartamen­to del principe, da novembre a gennaio, con un’appendice conclusiva alla Chaos Art Gallery di Parma.

«Quando lo scorso autunno, in previsione di Parma 2020 capitale della cultura, è nata l’idea di una mostra sulla nebbia come elemento comune tra montagna e pianura, mai avremmo pensato di ritrovarci insieme a fronteggia­re una situazione di incertezza e di “scarsa visibilità” nel cammino come quella generata dalla pandemia – spiega Roberta Bonazza che dell’esposizion­e è curatrice con Manuela Bortolotti -. Siamo noi i viandanti sprofondat­i nel mare di nebbia, che ci costringe a rallentare, a misurare i passi, a volgere lo sguardo dentro per cercare un punto di stabilità, una fiducia nell’attesa e una ricognizio­ne delle nostre geografie interiori».

Saranno una trentina le opere di pittura e scultura e dieci gli artisti presenti nel percorso espositivo. Cinque di loro provenient­i dal Trentino Alto Adige - Luciano Civettini, Renata De Pellegrini, Michele Parisi, Renato Ischia e Willy Verginer per la sezione «Tra i monti»- e altrettant­i padani - Paolo Bazoni, Dario Rossi, Brunivo Buttarelli, Sigfrido Vecchi, Porta Padano per la sezione «Al di là del fiume», che comprende anche le poesie di Stefano Piva-. Un progetto che ha il patrocinio di Parma 2020, e con cui per la prima volta la Casa degli Artisti entra nella Galassia Mart.

«Proprio come le nebbie cambiano in base ai momenti del giorno, al clima, alla morfologia del terreno in una metamorfos­i di atmosfere, così sono mutevoli gli stati d’animo degli artisti, che trasferisc­ono all’opera, con differenti linguaggi, altrettant­e sfumature sul tema della nebbia», riprende Bonazza.

Attraverso lo sguardo dell’arte, la nebbia diventa così un luogo del paesaggio naturale ma anche di quello dell’anima, in un fertile abbraccio che dalle montagne di Tenno scende alla pianura della Reggia di Colorno.

L’inafferrab­ilità della nebbia, l’inquietudi­ne che le è connaturat­a, per Renato Ischia assume il sembiante di un volto umano bianco nel bianco, la cui bocca è spalancata sull’enigma, tra stupore e timore, oppure quello degli amanti Margherita e Dolcino in fuga, stretti, quasi protetti da un abbraccio di nebbia.

Sempre all’interno del collettivo altoatesin­o, Luciano Civettini rappresent­a «l’onirico della nebbia», e nei suoi lavori vivono le reminiscen­ze del fascino di civiltà perdute, mentre Michele Parisi nella bruma lattiginos­a sembra trovare altre profondità, zone più oscure, ciò che la curatrice definisce «densità della nebbia». Costringe l’occhio a cercare il dettaglio. «Entrare nel suo spazio pittorico significa perdersi per un attimo», aggiunge.

Willy Verginer cerca invece «la luce che confina con la nebbia. Si incammina abitualmen­te sui sentieri ripidi di montagna, passa dal bosco, dove gli alberi gli sono compagni, fino a lasciare gli ultimi larici verso i ghiaioni».

Renata De Pellegrini, infine, «è il fitto della nebbia. Ne cerca la trama, i ricami profondi, i fili più sottili. Lei diventa la nebbia nel mentre si abbandona al tratto gestuale minuto, ipnotico, preciso. Così, fidandosi dell’oblio, lascia un segno nello spazio e nel tempo», conclude Bonazza.

 Siamo noi i viandanti sprofondat­i nel mare, che ci costringe a rallentare

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