«Lo scontro generazionale è un errore fatale per tutti: serve un patto condiviso»
TRENTO A 39 anni ha inanellato un bagaglio esperienziale partito dal basso, guidando i camion e lavorando nei magazzini dell’azienda di famiglia fra un esame e l’altro. Così, gradino dopo gradino, suo padre l’ha accompagnato. Tant’è che oggi Paolo Zanolli è imprenditore nel campo dell’agrochimica e del garden (Ortal Sas e Tutto Giardino), è presidente del Gruppo giovani imprenditori del Terziario di Confcommercio e guida il Pae, il Tavolo provinciale di imprenditoria giovanile. Ancora: da poco è entrato nel nuovo cda della Cassa rurale di Trento, post fusione con Lavis. Se il tema è quello del passaggio generazionale nelle imprese, detta altrimenti, Zanolli gioca in casa. «Ma guai a ingaggiare un conflitto — ripete — i giovani non devono rottamare i cda, ma integrarli con competenza e innovazione». L’asticella, per la selezione, dev’essere alta e ponderata sul merito.
Presidente, partiamo dal principio: quanto faticano i giovani a inserirsi ai vertici delle imprese?
«L’Italia non è un Paese per giovani, dal punto di vista imprenditoriale si fa fatica a fare un passaggio generazionale. Spesso nelle imprese private si vedono ottantenni-novantenni che guidano i cda e faticano a consegnare le redini ai figli che figurano come dipendenti ma, magari, dirigono l’azienda. Certo, cedere la propria creatura è comprensibilmente difficile, ma è un errore perché si rischia di disperdere competenze. Dobbiamo però fare attenzione quando parliamo di giovani, perché c’è una giovinezza anagrafica e una professionale che si estende fino ai 40-45 anni, del resto oggi fino a 30 anni ci si forma per poi unire alla teoria la pratica, l’esperienza».
Ecco, parla di formazione: le generazioni di oggi hanno competenze maggiori, ma riescono a trovare spazio d’espressione?
«La nostra generazione ha avuto una preparazione teorica che altre generazioni non hanno avuto. Oggi la laurea è il passaggio minimo anche se poi sarebbe interessante vedere nei vari cda il livello di studi. Questa preparazione è necessaria e va unita all’esperienza: i mercati di oggi sono altamente competitivi e per affrontarli le competenze sono centrali. Ma lo sono per il benessere dell’impresa, è qui che sta la differenza: non amo quando donne e giovani diventano una minoranza che deve popolare i cda, l’approccio è sbagliato. Il giovane professionista e qualsiasi selezione per i consigli deve considerare tre requisiti: percorso di studi, ossia titoli coerenti e sufficienti per l’incarico; una base professionale di esperienze lavorative; e soft skills: abilità come la comunicazione, la capacità di parlare in pubblico e saper fare team building. Si tratta di aspetti fondamentali perché i cda saltano quando le persone non sanno comunicare e non sanno lavorare insieme: il presidente è primo fra pari».
Quindi per lei non servono canali preferenziali ma requisiti di merito?
«Certo: competenze. È altrettanto chiaro, tuttavia, che dev’esserci più spazio per i giovani altrimenti rischiamo di perdere cervelli che non potendo fare esperienza dal Trentino, con i suoi 500.000 abitanti, si spostano verso territori come Milano che possono offrire maggiori chance. Ripeto: si valorizzino allora i giovani, selezionandoli in base a precise skills. Non devono essere considerati una quota, ma portatori di innovazione, preparazione. Un plus».
La successione aziendale, nel caso delle imprese familiari, è un passaggio delicatissimo che spesso porta alla morte delle imprese. Nel suo caso l’avvicendamento è partito da lontano. Com’è andata?
«La mia è la classica Pmi italiana, un’azienda strutturata: né piccola né gigantesca. L’ingresso è stato graduale. Durante l’estate ho iniziato con il lavoro di magazzino, ho fatto la patente del camion, mi sono occupato delle consegne. Poi sono salito di livello: l’amministrazione, gli acquisti, per arrivare alle vendite e alla gestione. Sono fortunato, mio padre ci ha lasciato spazio. Mi disse: “Per gestire l’azienda ti serviranno dieci anni”. In effetti così è stato. Ho studiato e col tempo si è accorto di poterci lasciare le decisioni. Molti imprenditori ancora faticano a lasciare».
Ma per favorire un innesto più robusto di giovani nella governance delle imprese come si fa?
«Favorire l’ingresso di under 40 non va inteso come una rottamazione, non ha senso. I giovani non devono rottamare un cda, ma integrarlo in un patto di collaborazione che porti innovazione e competenza accanto all’esperienza».
Favorire l’ingresso di under 40 non va inteso come una rottamazione, non ha senso. I giovani non devono rottamare un cda, ma integrarlo con innovazione e competenze