I LIMITI LOCALI DEL SOVRANISMO
La frenata della Lega, e del centrodestra nel suo complesso, è il dato più evidente delle elezioni comunali che hanno conosciuto domenica gli ultimi verdetti con i ballottaggi. E questo nonostante la storica vittoria a Riva del Garda e l’avanzata nel consenso — come a Trento — che indicano comunque un certo favore di vento per le posizioni sovraniste. La spinta nazionale rischia, però, di essere anche il limite del centrodestra trentino che esce dalla tornata elettorale con pochi Comuni e con più di un elemento di preoccupazione in vista delle Provinciali del 2023.
Al di là delle leadership politiche nazionali che — quando funzionano — possono essere un traino, la Lega non è riuscita a diventare attrattiva sul territorio per le altre forze politiche e non ha svolto quel ruolo da federatrice necessario.
Non è riuscita, per essere più precisi, a dialogare con l’autonomismo e il civismo, se non nel caso isolato di Riva del Garda che pure testimonia come, in fondo, ci siano dei margini per allargare una coalizione provinciale composta da un gigante (Lega) e da tanti gregari politici (Agire, Progetto trentino, Autonomisti popolari, Civica trentina). Dunque, il primo tema nella prospettiva del 2023 era come allargare e consolidare la coalizione e le Comunali sono scivolate via senza innestare elementi di novità. Anzi, lì dove il centrodestra si è disunito (per esempio a Trento e Arco) ha perso competitività e posto le basi per imminenti regolamenti di conti (soprattutto con Agire). Peraltro la crescita di Fratelli d’Italia avviene prevalentemente a scapito della Lega, dunque in una redistribuzione infracoalizionale dei consensi.
Il tema delle alleanze ne sollecita un altro. Quello di immergere il progetto sovranista nella cultura del luogo, di adattarlo alle istanze politiche perché le ondate emotive e i salti improvvisi — come quelli che hanno riguardato la Lega — hanno la necessità di costruire un recipiente politico, sociale e culturale duraturo, altrimenti si ridimensionano o svaniscono. Hanno bisogno di classe dirigente, e non solo di urlatori che aiutano a diffondere la rabbia, ma non a gestire il consenso conquistato. In Veneto Luca Zaia, sostanzialmente, ha compiuto questa operazione. Ha interpretato il vissuto del luogo e lo ha rielaborato in una Lega che non è (solo) quella di Salvini. Con la sua lista ha poi reso ancora più esplicito il duello e il tentativo di stabilizzare il progetto politico veneto rispetto ai flutti del consenso nazionale, intercettando anche un’area liberale, moderata e popolare in uscita sia da sinistra che da destra (Forza Italia).
Le ripercussioni del voto — al di là degli appetiti crescenti di Fratelli d’Italia — avranno un impatto perché cadono anche in una congiuntura provinciale sfavorevole in cui la giunta Fugatti si è ritrovata risucchiata nel vortice di tre bocciature relative alla misura discriminatoria dei dieci anni di residenza per accedere agli alloggi popolari, ai negozi e centri commerciali chiusi di domenica (un provvedimento con una sua ratio, ma costruito debolmente) e al presunto maltrattamento degli orsi al Casteller. Tre atti-manifesto — insieme allo smantellamento dell’accoglienza dei richiedenti asilo — che rischiano di dissolversi e che forse non tengono conto fino in fondo della complessità dell’opinione pubblica trentina.
In questo quadro, il centrosinistra ha costruito un argine per evitare che il sovranismo tracimasse e per depotenziarlo. E, a parte il caso di Riva del Garda, dove — soprattutto nel primo turno — gli elettori hanno penalizzato la candidatura dell’uscente Mosaner, questo si è verificato un po’ ovunque. Con il centrosinistra che ha cercato di garantirsi un credito verso i propri interlocutori, in una proiezione che mira al 2023. Per esempio nell’area autonomista, a cui su Trento è stato ceduto un incarico di peso come quello di vicesindaco, o in quella civica dove Francesco Valduga deve il suo secondo mandato all’alleanza con Pd, Patt e Futura (le liste civiche si sono arenate poco sopra il 20%). A Rovereto è caduta anche un’obiezione radicale nei confronti dei partiti che aveva animato il civismo fino alle Provinciali del 2018 (con la candidatura di Carlo Daldoss poi naufragata quando l’ex assessore scelse di sedersi la tavolo con il centrosinistra), mentre a Pergine Roberto Oss Emer ha ottenuto un eccellente risultato personale conservando lo schema originale. Il civismo rimarrà sempre la base elettorale di molti Comuni, talvolta con una connotazione più politica. Ma difficilmente esonderà il terrapieno municipale per la sua eterogeneità e in dimensioni di voto diverse dovrà scegliere quali valori sostenere perché altre sono le regole che indirizzano il consenso.
Gli accordi centrosinistra-Patt-civici nei Comuni di maggior rilievo politico (Trento e Rovereto in testa) rimangono al momento lì confinati. Sono un passaggio verso una tappa determinante che sono le prossime Provinciali. Ma tre anni sono un’era politica e nessuno scenario è ipotecato.